sabato 7 giugno 2008

500.000 italiani lottano contro le aritmie

Con piu' di mezzo milione di Italiani che combattono contro il ritmo cardiaco anomalo e circa 60.000 nuovi casi all'anno nel nostro paese, la fibrillazione atriale e' la forma piu' frequente di aritmia riscontrata nella pratica clinica, che colpisce a livello internazionale circa il 6% delle persone con eta' superiore ai 65 anni e che registra un'incidenza proporzionale all'aumentare dell'eta'.
Battito accelerato, palpitazioni, mancanza di fiato, dolore al petto, capogiri, fino a sensazioni di svenimento: per la fibrillazione atriale la prevenzione si conferma fondamentale. Queste le indicazioni dello studio GISSI AF, il primo e il piu' ampio studio internazionale nella prevenzione delle recidive per fibrillazione atriale, condotto in Italia dal gruppo GISSI, con la collaborazione dell'ANMCO e dell'Istituto Mario Negri e con il supporto di Novartis.
La fibrillazione atriale e' una tra le patologie piu' temute, perche', se associata ad altre patologie cardiache, puo' rivelarsi fatale, determinando ictus o embolie periferiche. Il Gruppo GISSI ha seguito per un anno oltre 1.400 pazienti affetti da fibrillazione atriale, in associazione a patologie cardiovascolari gia' note o fattori di rischio come ipertensione o diabete, coinvolgendo 114 centri cardiologici italiani. Obiettivo dello studio era valutare se l'aggiunta di valsartan al trattamento standard, in questa specifica popolazione di pazienti, riducesse la ricorrenza di fibrillazione atriale.
E' stato scelto valsartan, il sartano piu' studiato con oltre 100.000 pazienti coinvolti in grandi Studi internazionali, perche' ha dimostrato di prevenire significativamente l'esordio della fibrillazione atriale in specifiche popolazioni di pazienti, ossia nei pazienti con scompenso cardiaco e nei pazienti ipertesi con un alto profilo di rischio cardiovascolare. "Grandi studi internazionali hanno dimostrato che e' possibile prevenire l'esordio della fibrillazione atriale, se fin dall'inizio si cura l'ipertensione o altre patologie cardiovascolari con trattamenti terapeutici efficaci; tra questi i sartani, come il valsartan che e' la molecola di questa classe piu' utilizzata negli studi clinici" dichiara il professor Aldo Maggioni, Direttore del Centro Studi ANMCO e membro dello Steering Committee dello studio. Infatti con Val-HeFT studio condotto su una popolazione di circa 4.400 pazienti con scompenso cardiaco e ritmo normale, valsartan aggiunto alla miglior terapia, e' stato in grado di ridurre di quasi il 40% l'incidenza di fibrillazione atriale, a meno di 2 anni. Inoltre VALUE condotto su oltre 15.000 pazienti ha dimostrato che valsartan, rispetto ad amlodipina in pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare, riduce il rischio di sviluppare nuovi episodi di fibrillazione atriale del 16% e di fibrillazione persistente del 32%, indipendentemente dalla riduzione dei valori pressori.

Anoressia: genitori e media tra cause scatenanti

I genitori e i modelli imposti dai mass media sarebbero tra i principali responsabili dell' anoressia rispettivamente nei ragazzi e nelle ragazze. Queste le conclusioni di uno studio effettuato dalla Scuola di Medicina di Harvard e pubblicato dalla rivista Archives of Pediatrics e Adolescent Medicine. La ricerca e' stata condotta sottoponendo ad un test circa 7 mila ragazze e 5.600 ragazzi di eta' compresa tra i 9 e i 15 anni. Gli studiosi hanno preso in considerazione variabili come la frequenza delle diete, la presenza di modelli televisivi e di eventuali commenti negativi dei genitori sulla forma fisica o sulle abitudini alimentari dei ragazzi. I risultati parlano chiaro: mettersi continuamente a dieta o provare a somigliare a modelli televisivi sarebbero i fattori scatenanti di disordini alimentari per le ragazze di tutte le eta'. Al contrario, nel caso dei ragazzi, questi comportamenti risulterebbero piu' frequenti tra i giovani che ricevono commenti negativi sul loro peso da parte dei genitori. Inoltre, secondo gli studiosi, avere una madre che ha sofferto di disordini alimentari costituirebbe un ulteriore fattore di rischio soprattutto per le ragazze con meno di 14 anni. ''Questi risultati suggeriscono che le strategie di prevenzione di disturbi alimentari devono essere differenziate in base al sesso e all'eta' dei soggetti - hanno spiegato i ricercatori. ''Per le ragazze, ad esempio, potrebbe essere utile - hanno aggiunto - far si che le ragazze siano meno influenzate dai modelli veicolati dai mass media, mentre nel caso dei ragazzi, bisognerebbe aiutarli a non interiorizzare troppo i commenti negativi che fanno i genitori sul loro peso''.

Anoressia: genitori e media tra cause scatenanti

I genitori e i modelli imposti dai mass media sarebbero tra i principali responsabili dell' anoressia rispettivamente nei ragazzi e nelle ragazze. Queste le conclusioni di uno studio effettuato dalla Scuola di Medicina di Harvard e pubblicato dalla rivista Archives of Pediatrics e Adolescent Medicine. La ricerca e' stata condotta sottoponendo ad un test circa 7 mila ragazze e 5.600 ragazzi di eta' compresa tra i 9 e i 15 anni. Gli studiosi hanno preso in considerazione variabili come la frequenza delle diete, la presenza di modelli televisivi e di eventuali commenti negativi dei genitori sulla forma fisica o sulle abitudini alimentari dei ragazzi. I risultati parlano chiaro: mettersi continuamente a dieta o provare a somigliare a modelli televisivi sarebbero i fattori scatenanti di disordini alimentari per le ragazze di tutte le eta'. Al contrario, nel caso dei ragazzi, questi comportamenti risulterebbero piu' frequenti tra i giovani che ricevono commenti negativi sul loro peso da parte dei genitori. Inoltre, secondo gli studiosi, avere una madre che ha sofferto di disordini alimentari costituirebbe un ulteriore fattore di rischio soprattutto per le ragazze con meno di 14 anni. ''Questi risultati suggeriscono che le strategie di prevenzione di disturbi alimentari devono essere differenziate in base al sesso e all'eta' dei soggetti - hanno spiegato i ricercatori. ''Per le ragazze, ad esempio, potrebbe essere utile - hanno aggiunto - far si che le ragazze siano meno influenzate dai modelli veicolati dai mass media, mentre nel caso dei ragazzi, bisognerebbe aiutarli a non interiorizzare troppo i commenti negativi che fanno i genitori sul loro peso''.

Allergie alimentari

Una messa a punto sulle allergie alimentari.Spesso il paziente, di fronte a qualche sintomo "strano" che non si riesce a inquadrare, domanda se per caso non si tratti di un'allergia alimentare. Classicamente le allergie alimentari fanno parte del quadro più vasto delle reazioni avverse agli alimenti. A parte le reazioni tossiche che si verificano dopo l'assunzione di determinate sostanze (tossine batteriche, veleni naturali, sostanze chimiche, ecc.), le reazioni avverse agli alimenti vengono distinte in reazioni immunomediate (allergie alimentari vere e proprie) e reazioni non immunomediate (intolleranze alimentari).A loro volta le allergie alimentari possono verificarsi con un meccanismo IgE mediato oppure non IgE mediato, mentre le intolleranze alimentari riconoscono meccanismi in parte conosciuti (si pensi per esempio alla intolleranza al lattosio [1] ove si ha un deficit enzimatico a livello della mucosa intestinale, o alla celiachia in cui si ha un danno della mucosa digestiva legato al glutine) e in parte non noti. La prevalenza delle intolleranze e delle allergie alimentari non è ben determinata: le prime sono sicuramente più frequenti, tanto che si ritiene che un soggetto su cinque nel corso della vita possa andar incontro ad uno o più episodi di intolleranza alimentare. Le vere allergie alimentari sono molto meno frequenti, anche se quelle più comuni sembrano in aumento. Gli alimenti più spesso responabili di allergie alimentari sono il latte, le uova, i crostacei, il pesce, la frutta secca, le fragole.Una storia familiare positiva per atopia costituisce un fattore di rischio per allergia alimentare IgE mediata.
I sintomi
Di solito si pensa ad una allergia oppure ad una intolleranza alimentare se dopo l'ingestione di determinati cibi compaiono sintomi gastrointestinali (diarrea, dolore addominale, meteorismo, nausea e/o vomito) oppure sintomi caratteristici di una reazione allergica (asma, oculorinite, orticaria, prurito, edema angioneurotico, eczema atopico) Tuttavia si possono avere anche sintomi generali che più difficilmente vengono messi in relazione ad una allergia alimentare come per esempio febbricola, astenia, artralgie, anemia, ecc. Le allergie alimentari possono essere responsabili anche di casi gravi (talora mortali) di anafilassi. I cibi più spesso in causa sono le noccioline e il pesce.
La diagnosi
Il primo approccio diagnostico deve basarsi sull'anamnesi. E' buona norma pensare ad una possibile allergia o intolleranza alimentare di fronte a sintomi aspecifici o sistemici difficilmente inquadrabili. Ovviamente l'anamnesi è importante se si riesce a evidenziare un' associazione costante tra la comparsa del sintomo e l'ingestione dell'alimento incriminato. Tuttavia non sempre è facile sia per la scarsa collaborazione del paziente sia per l'intrinseca difficoltà di trovare un legame tra cibo e sintomo. In caso di sospetto si richiede il prick test cutaneo che si esegue con estratti standardizzati dei vari alimenti. L'esame successivo è il RAST, vale a dire la ricerca di IgE specifiche. Entrambi i test però sono gravati da falsi negativi e da falsi positivi. Il valore predittivo negativo del test è molto elevato (secondo alcune stime si aggira sul 95%) mentre il valore predittivo positivo è molto più basso (circa 50%). Anche per il dosaggio delle IgE specifiche il valore predittivo negativo è elevato mentre quello positivo è più modesto. Comunque se è vero che una loro positività è suggestiva ma non dimostrativa di allergia alimentare, questa non si può escludere con matematica certezza se sono negativi. Bisogna considerare inoltre che in molti casi le allergie alimentari non sono IgE mediate: in questi casi entra in gioco per esempio l'immunità cellulare che comporta delle reazioni di tipo ritardato. Queste possono talora essere dimostrate con i patch test.Gli esperti sono comunque concordi nel ritenere che il mezzo diagnostico migliore siano le diete di eliminazione: la risposta a queste diete permette di solito una diagnosi di "quasi"certezza. Il paziente viene sottoposto ad una dieta base ipoallergenica e poi vengono reintrodotti uno alla volta i vari alimenti mentre il soggetto deve registrare in un apposito diario la comparsa dei sintomi. Una volta individuato l'alimento ritenuto responsabile dell'allergia si può avere la prova del nove della sua colpevolezza con un test di scatenamento. Nel caso le reazioni allergiche che il paziente ha avuto siano state gravi (crisi asmatiche, anafilassi) si sconsiglia di eseguire la dieta di provocazione: è consigliabile far riferimento ad un ambiente specialistico ove verrà valutata l'opportunità di eseguire un test di provocazione orale previo ricovero che consente una eventaule terapia rianimatoria.Sono stati proposti vari altri esami alternativi (tra cui il test citotossico, il VEGA test, il test del capello, ecc.) ma mancano evidenze scientifiche che ne documentino l'efficacia diagnostica.
La terapia
Ovviamente la terapia etiologica prevede l'astensione dall'alimento incriminato, ma spesso la compliance non è ottimale. E' stato visto che, soprattutto nei bambini, una dieta prolungata priva dell'alimento colpevole dell'allergia può consentire, col tempo, la sua reintroduzione senza che ricompaiano i sintomi. Questo fenomeno, seppur meno frequentemente, è stato descritto però anche negli adulti. In molti casi le diete non vengono seguite in modo scrupoloso oppure talora l'allergia può riguardare diversi alimenti o ancora, pur se sospettata un'allergia alimentare, non si riesce a individuare chiaramente il cibo responsabile. Si può ricorrere allora ad una terapia sintomatica a base di antistaminici, chetotifene, cromoglicato di sodio, steroidi (la cui utilità però è limitata dai gravi effetti collaterali in caso di trattamenti prolungati). Sono stati proposti anche i probiotici, gli anticorpi anti - interleukine, l'immunoterapia (che però può essere gravata da gravi reazioni anafilattiche per cui va decisa di volta in volta dello specialista allergologo e praticata in ambiente protetto). Nel caso il paziente sia a rischio di shock anafilattico deve essere dotato di adenalina pronto uso.
La prevenzione
La prevenzione delle allergie alimentari è ancora ai suoi primi passi. Comunque è raccomandata l'esclusiva alimentazione al seno fino al 5°-6° mese di vita e l'introduzione ritardata, nel bambino piccolo, di alimenti allergizzanti come pesce e uova [2]. E consigliabile anche una dieta ipoallergenica durante la gravidanza e l'allattamento se la madre ha una storia di eczema atopico o di patologia allergica.
Renato Rossi
Referenze1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=27122. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=26633. Sicherer SH. Manifestations of Food Allergy: Evaluation and Management. Am Fam Phys 1999 Jan 15; 59:415

Aids: in Italia 11 nuovi casi al giorno

Non si ferma l'epidemia di Aids: 11 nuove infezioni al giorno nel nostro paese, 4.000 casi l'anno. E cambiano le caratteristiche dei malati: aumenta l'eta', sia per gli uomini (43 anni) che per le donne (40 anni), diminuiscono i tossicodipendenti, aumentano gli stranieri (oltre il 20% dei casi segnalati nell'ultimo anno). Sono i dati resi noti oggi dall'Istituto Superiore di Sanita' sulla diffusione del virus Hiv in Italia. Se sale l'eta' media, diminuisce ulteriormente l'incidenza di casi di AIDS nei bambini: solo un nuovo caso pediatrico e' stato segnalato nel corso del 2007.
Per quanto riguarda le nuove diagnosi di infezione da HIV, per le quali non esiste ancora un sistema di sorveglianza nazionale, le 4.000 nuove infezioni l'anno, assicura l'Iss, mostrano una sostanziale stabilizzazione dell'epidemia. Questo, sottolinea l'Istituto, "congiuntamente all'aumento della sopravvivenza, comporta una tendenza all'aumento del serbatoio di infezione". In sostanza cala pericolosamente la guardia: "La bassa percezione del rischio della popolazione sessualmente attiva rende conto della necessita' di mettere a punto adeguati interventi di prevenzione".
In tutto sono 59.106 i casi di AIDS notificati dall'inizio dell'epidemia fino al 31 Dicembre 2007. Aggiustando per il ritardo della notifica, pero', questo numero sale a oltre 59.500. La Regione piu' colpita in assoluto risulta essere la Lombardia, ma nell'ultimo anno il tasso di incidenza piu' elevato e' quello del Lazio seguito da Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e Liguria. Nel 2007, le stime mostrano una sostanziale stabilita' nel numero di nuovi casi di AIDS rispetto all'anno precedente, segno che si e' arrestata la tendenza al declino dell'incidenza di malattia conclamata che aveva caratterizzato l'era della HAART (terapia antiretrovirale combinata). Cio' dipende dal mancato accesso precoce alla terapia (oltre il 60% dei nuovi casi non ha effettuato terapia prima della diagnosi di AIDS) e consegue a un ritardo nella esecuzione del test (oltre una persona su due scopre di essere sieropositiva al momento della diagnosi di AIDS o poco prima). La causa del ritardo risiede in una bassa percezione del rischio, soprattutto in persone che hanno acquisito l'infezione per via sessuale. Se l'incidenza di nuovi casi di AIDS e' stabile, aumenta invece il numero totale delle persone con AIDS viventi, che sono oggi quasi 24.000. Tale effetto, spiega l'Iss, e' dovuto all'incremento della sopravvivenza dei malati a seguito dell'introduzione della terapia combinata con farmaci antiretrovirali".

venerdì 6 giugno 2008

L’Aspirina può prevenire l’asma?


Uno studio ha trovato che il rischio di insorgenza d’asma negli adulti è stato risotto del 22% negli uomini che stavano assumendo quotidianamente l’Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) per la prevenzione della malattia cardiaca. I Ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston ritengono che l’Acido Acetilsalicilico a basso dosaggio possa avere effetti benefici sull’asma. Sono stati esaminati i dati del Physicians’ Health Study, uno studio che ha preso avvio nel 1982 e che riguardava 22.072 medici di sesso maschile, di età compresa tra 40 ed 84 anni. I medici erano stati assegnati in modo casuale ad assumere una dose giornaliera di Aspirina 325mg oppure placebo. L’obiettivo originale dello studio era quello di valutare l’effetto dell’Aspirina nella prevenzione della malattia cardiaca. Nel corso di 5 anni, sono stati diagnosticati 113 nuovi casi di asma nel gruppo Aspirina contro i 145 nel gruppo placebo. Si ritiene che effetto antinfiammatorio dell’Aspirina possa avere un ruolo nel ridurre l’incidenza di asma. I Ricercatori hanno tuttavia sottolineato che questi risultati devono essere valutati con prudenza perché in alcune persone l’Aspirina potrebbe innescare i sintomi d’asma.
Fonte: American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, 2007

Nuove linee guida per l'asma

L'aggiornamento delle linee guida sull'asma da parte del National Asthma Education e Prevention Program (NAEPP) americano non contiene novità di rilievo ma richiama l'attenzione su valutazione e monitoraggio del paziente oltre che sull'autogestione.Il National Asthma Education e Prevention Program (NAEPP) americano ha pubblicato un aggiornamento delle sue linee guida sull'asma. L'aggiornamento è stato preceduto da una revisione sistematica della letteratura alla ricerca delle migliori evidenze disponibili sulla gestione del paziente asmatico.Possiamo dividere gli argomenti trattati in quattro aree: valutazione e monitoraggio del paziente, educazione del paziente, controllo dei fattori ambientali che possono peggiorare o scatenare l'asma, farmacoterapia.
Valutazione e monitoraggio del paziente
Vanno determinati la frequenza ed intensità dei sintomi, la funzionalità respiratoria, la limitazione che l'asma comporta sulle attività di ogni giorno, la presenza di fattori di rischio per riacutizzazioni e i possibili effetti collaterali dei farmaci antiasmatici. Una volta iniziata la terapia il paziente va monitorato periodicamente onde valutare lo stato di controllo della patologia.
Educazione del paziente
Al paziente vanno insegnati l'automonitoraggio e l'autogestione della malattia con l'ausilio di un piano scritto, personalizzato, che includa i consigli per il trattamento sia della malattia di base che delle riacutizzazioni.
Controllo dei fattori di rischio ambientali
Spesso sono sufficienti misure semplici che servano a limitare l'esposizione agli allergeni ed alle altre sostanze trigger a cui il paziente è sensibile (per esempio fumo di sigaretta, odori, profumi, inalanti, ecc). Il controllo dell'asma può essere migliorato trattando contemporaneamente altre condizioni associate come la rinosinusite allergica, il reflusso gastro-esofageo, il sovrappeso, lo stress e l'ansia/depressione.La vaccinazione antinfluenzale non ha dimostrato di ridurre frequenza e gravità delle riacutizzazioni.
Farmacoterapia
Gli steroidi ianaltori rimangono il trattamento di prima linea in tutte le età, associato al betastimolante a breve durata d'azione da usare al bisogno. I farmaci da aggiungere allo steroide inalatorio in caso di necessità sono i betastimolanti a lunga durata d'azione, gli antileucotrieni e i cromoni, l'omalizumab nei casi refrattari. Si consiglia un approccio a gradini, a seconda della severità e della frequenza delle crisi asmatiche, come del resto era per la versione precedente delle linee guida. La terapia prevede sia l'uso di più farmaci che il loro aumento di dosaggio se necessario, come anche una diminuzione quando possibile, basandosi sul livello di controllo della malattia. I betastimolanti a lunga durata d'azione non devono essere usati per trattare le riacutizzazioni e neppure come monoterapia di mantenimento senza steroidi inalatori. La teofillina a lunga durata d'azione è una alternativa, più che una terapia aggiuntiva, agli steroidi inalatori. I betastimolanti a breve durata d'azione sono da usare in caso di sintomi acuti o di asma da sforzo; gli anticolinergici possono essere una loro alternativa. Gli steroidi per via sistemica sono consigliati, in aggiunta ai betastimolanti a breve durata d'azione, per trattare le riacutizzazioni e per facilitarne la risoluzione, con l'aggiunta di ipratropio per le forme più severe; inoltre ossigeno per combattere l'ipossiemia; nei casi refrattari: magnesio solfato ed elio.
Fonte:National Heart, Lung, and Blood Institute. Published online August 29, 2007.http://www.nhlbi.nih.gov/guidelines/asthma/index.htm
Commento di Renato Rossi
Queste corpose linee guida (più di 500 pagine!) non aggiungono nulla di veramente nuovo a quanto già non si sapesse sulla terapia farmacologia dell'asma, almeno per gli aspetti fondamentali. Più interessanti invece gli spunti di riflessione per quanto riguarda il monitoraggio della malattia (sia da parte del medico che del paziente) e l'autogestione della terapia e delle riacutizzazioni. Questo approccio richiede ovviamente molto tempo da dedicare al paziente, ma è uno snodo cruciale: spesso infatti gli asmatici vedono la loro patologia non come una malattia cronica che richiede un trattamento e un controllo costante, bensì come una serie di episodi acuti al di fuori dei quali non è necessario alcunchè. Il problema della mancata compliance ai trattamenti prescritti è ben noto ad ogni medico pratico e, probabilmente, è il maggior ostacolo alla corretta gestione dell'asma.

Asma in costante aumento tra gli italiani

Gli italiani respirano male: l'asma in costante aumento, e soprattutto un boom delle riniti allergiche, vere 'anticamere' della sindrome asmatica, che gia' oggi colpiscono il 30 per cento dei giovani under 16 e nel 2020 arriveranno alla meta' della popolazione adolescente. E' l'allarme lanciato dagli esperti riuniti a Venezia per un incontro scientifico dal titolo 'Master class in Allergologia', che riunisce allergologi da tutta Italia.
Con oltre 300 milioni di casi in tutto il mondo, 30 milioni in Europa e piu' di tre milioni in Italia, l'asma si conferma una delle principali cause di mortalita'. "Non a caso - spiega il prof.Giorgio W.Canonica, direttore della Clinica Malattie dell'Apparato respiratorio dell'Universita' di Genova e presidente della World Allergy Organization - la recente relazione del Ministero della Salute sullo stato sanitario del paese mette l'asma bronchiale tra le priorita' da affrontare, insieme a diabete e obesita'".
Asma e rinite allergica, che conoscono un deciso incremento proprio in questa stagione primaverile, sono in costante aumento tutto l'anno: "E' lo scotto che paghiamo allo stile di vita occidentale - sottolinea Canonica - l'alimentazione diversa, lo smog, i cambiamenti climatici, anche il microclima delle nostre case che e' diverso. E poi i bambini escono sempre meno, e in casa e' pieno di acari".
Per affrontare il fenomeno, e' ora a disposizione una nuova strategia terapeutica denominata Smart, che consiste nell'associazione budesonide-formoterolo anche al bisogno oltre che in mantenimento, cioe' sporadicamente, all'occorrenza, e non solo a dosaggio fisso. "Il formoterolo - spiega Canonica - e' un broncodilatatore che agisce in tempi molto rapidi, ha effetti identici agli altri broncodilatatori ma ha un effetto protratto per almeno 12 ore". Con questa terapia, sottolinea l'esperto, "il paziente utilizza un solo farmaco, una sola pompetta: un dato molto importante". La sua efficacia e' dimostrata dagli studi clinici: una riduzione del 39 per cento delle riacutizzazioni gravi rispetto alla terapia con fluticasone-salmeterolo a dosaggio fisso; meno riacutizzazioni gravi (-28) anche rispetto alla stessa terapia con budesonide e formoterolo a dosaggio fisso; e un risparmio del 25 per cento della quantita' di corticosteroide assunto. Un vantaggio, quest'ultimo, non di poco conto, se si pensa che il costo toale dell'asma, in Europa, supera i 17 miliardi di euro l'anno, e che il maggior costo e' provocato proprio dall'asma poco controllata.

Nuova tecnica laser per lo screening dell’asma e dei tumori in base all’aria espirata

Un team di ricercatori della del National Institute of Standards and Technology e dell'University of Colorado a Boulder (Usa), hanno ideato e testato una nuova metodologia per individuare nell’aria espirata i primi segnali di diverse malattie, dall'asma fino ad alcuni tumori, in modo più veloce e economico rispetto alle tradizionali tecniche diagnostiche.

Tale tecnica innovativa (Optical comb spectroscopy) sarebbe in grado di analizzare l’aria espirata, determinando con buona precisione la presenza di alcune sostanze considerate “spia” di altrettante patologie.
Quando si respira, si inala un complesso mix di sostanze gassose e si esala un mix diverso che contiene meno ossigeno, più anidride carbonica e un complesso di molecole ciascuna delle quali presente solo in tracce. In particolare, i ricercatori hanno identificato più di mille differenti sostanze componenti l’aria espirata.
Esistono combinazioni di molecole caratteristiche di altrettante patologie.

Il dispositivo è costituito da due sottosistemi. Un sistema a flusso continuo del gas che trasporta i campioni di aria. Un sottosistema ottico che registra le caratteristiche di assorbimento utilizzate per determinare le concentrazioni molecolari. La ricerca si è focalizzata in particolar modo sull'individuazione di sostanze gassose come l'ammoniaca, che si produce in caso di insufficienza renale, il monossido di carbonio e il metano, che si sviluppano in seguito all'attività di alcuni tumori, la metilammina, indice di patologie epatiche, il dimetil chetone che, in eccesso, è legato al diabete, riuscendo a determinarne la presenza anche a concentrazioni molto basse.

I test comunque proseguiranno per validare su più ampia scala l'efficacia di questa tecnica che, potenzialmente, è in grado di identificare simultaneamente un altissimo numero di indicatori.

Broncospasmi ripetuti e sensibilizzazione precoce ad allergeni perenni predicono l’asma

I bambini con wheezing ricorrente nei primi 5 anni che si sono sensibilizzati ad allergeni perenni presentano un decorso cronico dell’asma, con sintomi severi e riduzione della funzionalità polmonare. Uno studio di coorte analizza il ruolo della sensibilizzazione allergica e dell’esposizione precoce agli allergeni (primi tre anni di vita) sull’andamento dell’asma e sullo sviluppo del polmone in età scolare e adolescenziale. La sensibilizzazione allergica veniva valutata con i RAST. Lo studio è stato condotto in Germania su 1314 bambini. I risultati hanno messo in evidenza che il 90% dei bambini con wheezing senza atopia non hanno più sintomi in età scolare e raggiungono una funzione polmonare normale (spirometrica) in età puberale. Viceversa, la sensibilizzazione ad allergeni perenni (polvere, pelo di cane e gatto) sviluppata nei primi 3 anni di vita era associata ad una perdita di funzionalità polmonare in età scolare, più grave in caso di alto livello di esposizione. Una sensibilizzazione più tardiva produceva minori effetti sul polmone. Gli autori concludono che i bambini con ripetuti episodi di wheezing nei primi 5 anni e che non hanno sviluppato atopia esauriscono i loro sintomi in età scolare; i bambini con wheezing ricorrente nei primi 5 anni che si sono sensibilizzati ad allergeni perenni presentano invece un decorso cronico dell’asma, con sintomi più severi e riduzione della funzionalità polmonare. L’epoca in cui è avvenuta la sensibilizzazione è importante: l’effetto dell’interazione tra sensibilizzazione allergica ed esposizione agli allergeni domestici sembra particolarmente pronunciato nei primi tre anni di vita. Questo causerebbe il remodelling e l’alterazione della funzionalità respiratoria in età scolare. Secondo gli autori la gestione del lattante e del bambino in età prescolare dovrebbe essere riconsiderata, anche se tentativi di prevenire l’asma con la profilassi ambientale ed il coprimaterasso sono falliti e l’uso degli steroidi inalatori in età scolare non ha modificato la funzionalità polmonare. Gli autori auspicano quindi studi che valutino l’ipotesi di poter modificare la storia naturale dell’asma nei bambini a rischio attraverso la somministrazione precoce (ai primi episodi di wheezing) e a lungo termine (fino all’età scolare) di steroidi inalatori.Tuttavia tale ipotesi è risultata senza fondamento (studi PEAK e PAC) ed il dato è stato recentemente confermato anche da un RCT in doppio cieco (studio IFWIN 1) i cui risultatiindicano che l'uso precoce dei corticosteroidi inalatori nella terapia del broncospasmo nei bambini in età prescolare non influenza la storia naturale della malattia, non previene il declino della funzione respiratoria e neppure riduce la broncoreattività.
Fonte: Lancet;368:763-70Contenuto gentilmente concesso da: Associazione Culturale Pediatri (ACP) - Centro per la Salute del Bambino/ONLUS CSB - Servizio di Epidemiologia, Direzione Scientifica, IRCCS Burlo Garofolo , Trieste; tratto da: Newsletter pediatrica. Bollettino bimestrale- Giugno Settembre 2006, Volume 4, pag. 78.
Referenze1) Lancet. 2006;368:754-62

Asma: l'approccio SMART raccoglie sempre più consensi

"La peculiarità dell'approccio SMART al trattamento dell’asma è quella di essere il primo approccio terapeutico ad offrire ai pazienti sia una terapia di mantenimento, sia una terapia al bisogno con un solo inalatore, cosa che rende più efficace la gestione della malattia con la possibilità di trattare l’infiammazione sottostante ad ogni inalazione", ha dichiarato G. Walter Canonica, Direttore della Clinica di Tisiologia e Pneumologia del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche dell'Università degli Studi di Genova, nel corso dell'incontro scientifico "Master Class in Allergologia" che si è tenuto a Verona. "La terapia SMART, che prevede l’impiego dell’associazione budesonide/formoterolo sia come terapia di mantenimento che al bisogno, è stata accolta dalla comunità scientifica al punto che il Progetto Mondiale Asma (GINA-Global Initiative for Asthma) ha incluso questa terapia tra le linee guida", ha annunciato Canonica.In particolare le linee guida dichiarano che l’uso dell’associazione di un ß-2-agonista a rapida e a lunga durata d’azione (formoterolo) e di un glucocorticosteroide inalatorio (budesonide), con un unico inalatore sia come terapia di mantenimento che “al bisogno”, è efficace per mantenere un alto livello di controllo dell’asma e ridurre le riacutizzazioni che rendono necessari il ricorso a glucocorticosteroidi sistemici e l’ospedalizzazione. Entrambi i componenti budesonide-formoterolo, assunti al bisogno, contribuiscono ad aumentare la protezione contro le riacutizzazioni gravi in pazienti in terapia di mantenimento con la combinazione e consentono di migliorare il controllo dell’asma a dosaggi relativamente bassi.
Fonte. Master Class in Allergologia, Mestre 3 aprile 2008.
Secondo una meta-analisi lo shunt porto-sistemico è più efficace della paracentesi nell'ascite intrattabile e porterebbe anche ad una riduzione della mortalità.Questa meta-analisi, in cui sono stati usati i dati individuali piuttosto che quelli aggregati, ha identificato 5 RCT in cui veniva paragonato, nel trattamento dell'ascite intrattabile, lo shunt porto-sistemico intrapeatico transgiugulare (TIPS) con la paracentesi. Uno degli RCT è stato scartato perchè l'ascite refrattaria non veniva definita secondo i criteri internazionali attualmente accettati. I dati individuali erano disponibili però solo per 3 RCT, per il quarto sono stati usati dati aggregati.In totale si trattava di 149 pazienti randomizzati a TIPS e 165 a paracentesi.Durante il follow-up morirono 65 pazienti del gruppo TIPS e 78 del gruppo paracentesi. La TIPS risultò pure associata ad una riduzione dei decessi da cause epatiche. Anche la recidiva di ascite risultò meno frequente nel gruppo TIPS, a scapito, tuttavia, di un maggior numero di episodi di encefalopatia.Gli autori concludono che la TIPS è più efficace della paracentesi nel trattamento dell'ascite intrattabile e riduce la mortalità ma porta ad un aumento del rischio di encefalopatia epatica.
Fonte:Salerno F et al. Transjugular intrahepatic portosystemic shunt for refractory ascites: A meta-analysis of individual patient data. Gastroenterology 2007 Sep; 133:825.
Commento di Renato Rossi
I risultati di questa meta-analisi condotta su dati individuali piuttosto che aggregati non sono del tutto nuovi. Già in precedenza [1] un'analisi di 5 RCT per un totale di 330 pazienti aveva mostrato che la TIPS porta ad un miglior controllo dell'ascite rispetto alla paracentesi e ad un trend, peraltro non significativo dal punto di vista statistico, di riduzione della mortalità (pooled OR 0,64; IC95% 0,40-1,37). Anche in quel caso si trovò che la TIPS era gravata da un maggior rischio di encefalopatia (pooled OR 2,26; IC95% 1,35-3,76). Sempre sugli stessi 5 RCT giunse a risultati analoghi un'altra meta-analisi [2]. Anche una revisione Cochrane [3] si è occupata dell'argomento identificando i 5 RCT . Com'è noto le revisioni Cochrane forniscono informazioni molto affidabili e danno anche un giudizio qualitativo sugli studi presi in esame. In effetti i 5 RCT sono risultati adeguati per quanto riguarda l'allocation concealment ma solo in uno la valutazione degli outcomes era in cieco. La mortalità sia a 30 giorni che a 24 mesi non differiva tra TIPS e paracentesi. La TIPS riduceva la recidiva di ascite ma portava ad un aumento dell'encefalopatia epatica. Altri esiti (sanguinamento gastrointestinale, infezioni, insufficienza renale acuta) non differivano tra i due tipi di trattamento.La meta-analisi recensita in questa pillola suggerisce, e questa è una novità rispetto agli studi precedenti, che la TIPS potrebbe portare a benefici anche sulla mortalità. Tuttavia va considerato l'altra faccia della medaglia (un aumento dell'encefalopatia), senza contare che la casistica arruolata negli studi è decisamente scarsa e quindi i risultati trovati possono avere dei limiti per quanto riguarda l'affidabilità statistica.
Referenze1. D'Amico G et al. Uncovered transjugular intrahepatic portosystemic shunt for refractory ascites: a meta-analysis. Gastroenterology. 2005 Oct;129:1282-932. Albillos A et al. A meta-analysis of transjugular intrahepatic portosystemic shunt versus paracentesis for refractory ascites. J Hepatol. 2005 Dec;43:990-6.3. Saab S et al. TIPS versus paracentesis for cirrhotic patients with refractory ascites.Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD004889

Denosumab riduce la progressione nell’artrite reumatoide


Il trattamento con Denosumab 60 mg, 180 mg, in associazione al Metrotrexato, riduce la progressione dell’erosione ossea nei pazienti con artrite reumatoide.Denosumab è un anticorpo monoclonale interamente umano che si lega ed inibisce il ligando RANK.Il ligando RANK è il mediatore essenziale della formazione, funzione e sopravvivenza dell’osteoclasto, e pertanto svolge un ruolo chiave nell’artrite reumatoide associata ad erosione ossea.Lo stato osseo delle mani e dei piedi dei pazienti è stato valutato mediante radiografia all’inizio dello studio, a 6 mesi ed a 1 anno, con l’obiettivo di verificare la capacità di Denosumab di ridurre la progressione dell’artrite reumatoide associata all’erosione ossea.Lo studio di fase II ha interessato 227 pazienti, che sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Denosumab per via sottocutanea oppure placebo, all’inizio dello studio e dopo 6 mesi. I pazienti erano già in trattamento con Metotrexato.I punteggi medi di erosione sono stati significativamente ridotti nel gruppo trattato con Denosumab, rispetto al gruppo controllo.Il cambiamento del punteggio medio di erosione ad 1 anno è stato di 0.33 e 0.19 per il trattamento con Denosumab 60 mg e 180 mg, rispettivamente contro un cambiamento del punteggio del punteggio nel gruppo controllo di 1.34 ( p=0.01 e p=0.007, rispettivamente ).Nel gruppo Denosumab 180 mg, a 6 mesi, la riduzione della progressione delle erosioni era già significativamente minore, rispetto al gruppo controllo ( 0.05 versus 0.59; p-valore = 0.02 ). Un trend è stato visto nel gruppo Denosumab 60 mg.Ad 1 anno, un incremento nel punteggio TSS ( Total Sharp Score ) è stato osservato nei pazienti del gruppo controllo; l’aumento è risultato significativamente più alto rispetto a quanto osservato nei pazienti dei gruppi di trattamento.Per i pazienti trattati con Denosumab, la progressione nel punteggio TSS ad un anno è stata pari a 0.85 e a 0.97 per Denosumab 60 mg e 180 mg, rispettivamente, contro 1.87 nel gruppo controllo ( p=0.03 e p=0.18, rispettivamente ).Nessuna specifica differenza in JSN ( Joint Space Narrowing ) è stata riscontrata tra i gruppi Denosumab ed il gruppo controllo.
Fonte: European League Against Rheumatism ( EULAR ), 2007

La Ciclofosfamide è associata a tumori ematologici nei pazienti con artrite reumatoide

Il trattamento dell’artrite reumatoide con Ciclofosfamide ( Endoxan ) è associato ad un aumento del rischio di tumori ematologici.Ricercatori della McGill University Health Centre a Montreal in Canada, hanno valutato il rischio di neoplasie ematologiche nei pazienti con artrite reumatoide, associato all’esposizione ai DMARD ( farmaci antireumatici modificanti la malattia ). E’ stato analizzato un database, contenente informazioni su 28.810 pazienti trattati con i DMARD nel periodo compreso tra il 1980 ed il 2003.Nel corso del periodo osservazionale, 619 pazienti hanno sviluppato neoplasie ematologiche maligne, tra cui linfoma ( n=346 ), leucemia ( n=178 ) e mieloma multiplo ( n=95 ).Dopo aggiustamenti, solo la Ciclofosfamide era associata ad un aumento significativo del rischio di tumori ematologici ( rischio relativo, RR=1.84 ).Il rischio per l’esposizione al Metotrexato ( Methotrexate ), all’Azatioprina è risultato basso.C’erano pochi dati riguardo ai farmaci biologici perché introdotti in Canada solo nel 2002.Nonostante i gravi effetti indesiderati della Ciclofosfamide, il farmaco ha un suo ruolo nelle gravi malattie autoimmuni, come nella forma grave di vasculite e nella nefrite lupica.
Fonte: Archives of Internal Medicine, 2008

Nelle arteriopatie periferiche meglio il solo antiaggregante



Nel paziente con arteriopatia periferica la terapia combinata antiaggregante/anticoagulante non risulta più efficace del solo antiaggregante, ma provoca un maggior numero di emorragie pericolose per la vita.In questo studio, denominato WAVE, sono stati reclutati 2.161 pazienti (età media 64 anni; 73,6% uomini) affetti da arteriopatia periferica, randomizzati alla terapia con anticoagulante (target dell' INR tra 2 e 3) associato ad un antiaggregante oppure al solo antiaggregante. Il follow-up medio è stato di 35 mesi. L'end-point primario era costituito da infarto miocardico, stroke o morte da causa cardiovascolare; quello secondario era formato da infarto, stroke, ischemia arteriosa periferica o coronarica di gravità tale da costringere ad intervento urgente o morte da causa cardiovascolare.L'end-point primario si verificò in 132 dei 1080 pazienti in trattamento combinato (12,2%) e in 144 dei 1081 pazienti trattati con il solo antiaggregante (13,3%): la differenza non era statisticamente significativa (RR 0,92; IC95% 0,73-1,16; P = 0,48).Non c'era differenza neppure per l'end-point secondario (15,9% vs 17,4%; RR 0,91; IC95% 0,74-1,12; P = 0,37).Sanguinamenti pericolosi per la vita si verificarono rispettivamente in 43 (4,0%) e in 13 (1,2%) pazienti, con una differenza statisticamente significativa (RR 3,41; IC95% 1,84-6,35; P <>

Fonte: The Warfarin Antiplatelet Vascular Evaluation Trial Investigators. Oral anticoagulant and antiplatelet therapy and peripheral arterial disease. N Engl J Med 2007 Jul 19; 357:217-27.


Commento di Renato Rossi


E' noto che il paziente con arteriopatia periferica è ad elevato rischio di eventi cardiovascolari (infarto, ictus). Il razionale dello studio WAVE era determinare se una terapia antitrombotica massimale fosse più efficace della terapia standard che prevede l'uso di un antiaggregante.I pazienti arruolati nello studio avevano una arteriopatia manifesta degli arti inferiori (82% dei casi) oppure della arteria succlavia o della carotide e il 50% di essi soffriva anche di coronaropatia.Gli anticoagulanti usati nello studio erano il warfarin (nella maggior parte dei casi) oppure l'acenocumarolo mentre gli antiaggreganti erano aspirina oppure ticlopidina o clopidogrel.Lo studio ha chiaramente dimostrato che dopo tre anni di trattamento la terapia combinata non offre vantaggi in termini di riduzione dei maggiori eventi cardiovascolari ma espone il paziente ad un maggior rischio di emorragie potenzialmente mortali: basta trattare circa 36 pazienti per avere un evento emorragico maggiore in più rispetto al solo antiaggregante.D'altra parte questi risultati sono in linea con quanto suggerisce una metanalisi di 10 RCT (per oltre 4.100 pazienti), secondo la quale la pratica di associare antiaggregante ed anticoagulante non sarebbe giustificata nè nella fibrillazione atriale nè nella cardiopatia ischemica ma solo nei pazienti con protesi valvolari meccaniche [1].


Addio respirazione bocca a bocca per gli arresti cardiaci

Nella stragrande maggioranza dei casi di rianimazione cardiopolmonare (RCP) la respirazione bocca a bocca può essere trascurata del tutto, concentrandosi sul ‘massaggio cardiaco’: lo sostengono le nuove linee-guida dell’American Heart Association, pubblicate dalla prestigiosa rivista specializzata Circulation.
La rianimazione cardiopolmonare è una tecnica di primo soccorso che può - in alcune circostanze - essere determinante per salvare la vita di un infortunato. Lo scopo di tale manovra è quello di mantenere ossigenato il cervello e il muscolo cardiaco, insufflando con forza aria nei polmoni e provocando, per mezzo di spinte compressive sul torace, un minimo di circolazione del sangue. La RCP fa guadagnare all’infortunato o alla persona che ha avuto un malore tempo prezioso in attesa che arrivino i soccorsi.

Michael R. Sayre, il medico alla testa del team di esperti autori delle nuove linee-guida sulla RCP, spiega: “Chi pratica una RCP su un infortunato dopo aver chiamato i soccorsi deve limitarsi a effettuare le compressioni del torace: ci auguriamo che questo metodo più facile contribuisca a far aumentare le RCP effettuate, per ora purtroppo ferme al 25 per cento dei casi di arresto cardiaco in luogo pubblico”.

La RCP basata solo sulla compressione del torace non si applica a chi rimane vittima di un arresto respiratorio, come chi sta per affogare o chi va in overdose.

Fonte: Sayre MR, Berg RA, Cave DM et al. Hands-Only (Compression-Only) Cardiopulmonary Resuscitation: A Call to Action for Bystander Response to Adults Who Experience Out-of-Hospital Sudden Cardiac Arrest. A Science Advisory for the Public From the American Heart Association Emergency Cardiovascular Care Committee. Circulation 2008; doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.107.189380.

Le aritmie si curano con un robot e un campo magnetico


Un dispositivo di ultima generazione combina, nella stessa procedura, la Tac per la mappatura 3D del cuore e la terapia ablativa.

Un sofisticato sistema robotizzato che consente un ulteriore passo avanti nel trattamento delle aritmie e in tutte quelle terapie che si basano sull’elettrostimolazione del cuore. Si chiama Stereotaxis, ed utilizza due giganteschi magneti che, spostandosi nella sala operatoria, permettono di guidare all’interno del corpo del paziente un catetere con una punta metallica: il medico ne controlla i movimenti con un joystick da una sofisticata sala controllo. Operativo da alcuni giorni in Humanitas - dove date le sue dimensioni e l’enorme peso, determinato dai giganteschi magneti, si sono resi necessari l’ampliamento e particolari opere di consolidamento dei pilastri - è uno dei primi macchinari del suo genere ad essere installato non solo in Italia ma in Europa. Una delle novità assolute è il sistema di ricostruzione tridimensionale dell’area dell’intervento, che consente al medico di orientarsi e spostarsi nel corpo del paziente con una precisione mai raggiunta prima. La Stereotaxis di Humanitas è infatti equipaggiata con un sistema che consente di effettuare immagini radiografiche digitali tridimensionali dell’area in cui sta operando; un angio-CTscan, un particolare sistema TAC che effettua una scansione del torace del paziente direttamente all’inizio della procedura; e, infine, il CARTO MERGE, un navigatore satellitare che fornisce la posizione esatta del catetere rispetto alla ‘mappa’ tridimensionale del corpo del paziente. “Combinando il momento diagnostico con quello terapeutico - spiega il dott. Maurizio Gasparini, responsabile dell’Unità di Operativa di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione di Humanitas, uno dei maggiori esperti europei nell’impianto di defibrillatori bi ventricolari, elettrofisiologia ed impianti di pace-maker, autore anche di linee guida internazionali - questo sistema consente di curare con la massima precisione ed efficacia le aritmie, e fra queste in particolare una delle più diffuse, la fibrillazione atriale. Grazie alla precisione e alla flessibilità dei movimenti e all’accuratezza del sistema di navigazione non esisteranno più punti del corpo non raggiungibili, e questo ci consentirà di affrontare casi sempre più complessi”. In tutto il mondo i casi di fibrillazione atriale sono oltre 7 milioni, con 700 mila nuovi pazienti all’anno. Soltanto in Italia riguarda circa 500 mila persone, in particolare al di sopra dei 70 anni. Si tratta di un segnale elettrico anomalo che altera il normale ritmo cardiaco, creando una sorta di ‘confusione elettrica’ che porta il cuore a battere in modo veloce, disordinato e poco efficiente. Una delle terapie più efficaci per questo problema è la cosiddetta ‘ablazione’, che consiste nel provocare appositamente, mediante un’energia a radiofrequenza , minuscole lesioni nella parete dell’atrio sinistro del cuore, dove si genera la maggior parte degli impulsi che provocano la fibrillazione atriale. In questo modo si isolano le cellule responsabili dell’anomalia, bloccando la trasmissione dell’impulso scorretto. La complessità di questo intervento sta proprio nell’individuare ed isolare elettricamente il gruppo di cellule coinvolte nella malattia. “La Stereotaxis - continua Gasparini - gestisce in modo informatizzato l’inserimento e il posizionamento del catetere. La sua testa metallica, dalla quale viene emessa l’energia a radiofrequenza che produce le lesioni mirate, viene risucchiata dal campo magnetico e condotta dolcemente anche lungo i percorsi più tortuosi. Il movimento del catetere è controllato dal computer, che ne impedisce un avanzamento eccessivo una volta in contatto con la parete dell’atrio. Inoltre il sistema di ‘mappatura’ del corpo del paziente, basato su una serie di rilevamenti compiuti all’inizio dell’intervento, consente una considerevole riduzione dell’utilizzo dei raggi X. Ci aspettiamo anche una significativa riduzione della durata dei trattamenti (normalmente 4-5 ore), in particolare nei casi in cui occorre ritornare nei punti dove si è già intervenuti, per perfezionare la lesione o effettuare una stimolazione. Il sistema di ‘navigazione satellitare’ del nuovo dispositivo consente infatti di registrare le coordinate delle singole aree di intervento: con un semplice comando possiamo così ordinare ai magneti di riportare il catetere esattamente in quel punto”. Oltre al suo impiego prevalente nel settore dell’elettrofisiologia ed elettrostimolazione del cuore, questo dispositivo potrà trovare importanti applicazioni anche nelle cura delle occlusioni coronariche e in neuroradiologia o nei casi più complicati di re sincronizzazione cardiaca.

Appendicectomia in laparoscopia

Si chiama Jeff Scholz, ha quaranta anni ed è il primo paziente a cui è stata fatta un'appendicectomia in laparoscopia attraverso la bocca. Dopo tre giorni di convalescenza Scholz è tornato alla sua vita. L'operazione è durata tre ore e ha provocato al paziente un lieve dolore alla gola e una piccola cicatrice sull'ombelico dove il chirurgo ha posizionato la telecamera. Negli Stati Uniti questo intervento ha avuto molta eco sia tra la comunità scientifica che sulla stampa. La notizia è stata anche riportata dal famoso settimanale Newsweek.
Oltre oceano è stata ribattezzata l'era della chirurgia che usa "the natural orifice", che cioè non fa tagli e non usa altre vie d'ingresso al corpo umano se non quelle di cui esso già dispone. La possibilità di usare la laparoscopia è sostenuta da una parte della comunità scientifica americana e in particolare del Natural Orifice Surgery Consortium for Assessment and Research (NOSCAR). Chistopher Thompson, uno dei fondatori del NOSCAR, è convinto che questo nuovo approccio offra ottimi benefici perché riduce i tempi di recupero dei pazienti e, a seconda del tipo di intervento, può addirittura essere fatto in day hospital. La sua convinzione lo spinge a chiedere più ricerca e finanziamenti mirati rispetto a questo tipo di interventi Non tutti i chirurghi, però, sono dello stesso avviso. Ronal Belday, collega di Thompson al Brigham and Women's Hospital di Boston, non è altrettanto entusiasta. "È indubbio che oggi vi sono alcuni interventi in laparoscopia standardizzati, però non tutti i centri ospedalieri sono in grado di farli. Il punto, però, è che prima di puntare tutto su questo tipo di interventi dovremmo chiederci quale sia il reale valore aggiunto", sostiene Belday, lasciando quasi sospettare al lettore che i suoi dubbi nascono solo da un dubbio: il nuovo è davvero sempre migliore del vecchio?
Bibliografia. Peng T. Open wide. No wider. Newsweek 2008; 5 aprile.

Ansia

L'ansia, spesso definita "emozione di difesa", rappresenta la predisposizione biologica a difendersi attivamente dai pericoli; è l'espressione dell’attivazione di un segnale di allarme psicosomatico, in relazione alla percezione di imminente pericolo interno o esterno.

A differenza della paura, l’ansia si può innescare anche dalla sola rappresentazione mentale di una situazione temuta che non necessariamente si realizzerà.

Indagini hanno documentato che oltre un soggetto su cinque può andare incontro ad un qualche disturbo d’ansia nell’arco della propria vita.

Che cosa è l’ansia

L’ansia è un’emozione spiacevole a carattere naturale ed universale: infatti essa rappresenta l’attivazione di un segnale di allarme psicosomatico in rapporto alla percezione di imminente pericolo interno o esterno; essa può essere pertanto definita una “emozione di difesa”.

Mentre la paura è una risposta primordiale ad esperienze reali ed attuali in cui è riconoscibile un adeguato oggetto-stimolo (ad es. trovarsi dinanzi un uomo con la pistola puntata) l’ansia si riferisce invece a situazioni di tipo potenziale, proiettate in un futuro seppur prossimo, dove il pericolo non è sempre ben definito (ad es. la sensazione continua che possa capitare qualcosa di male al momento di partire per un viaggio).
A differenza della paura, quindi, l’ansia può essere innescata anche dalla sola rappresentazione mentale ovvero dalle semplici avvisaglie sensibili di una situazione temuta che non necessariamente si realizzerà.
Dal momento che l’ansia assolve ad una funzione fisiologica, essa permette entro un certo limite il miglioramento di prestazioni finalizzate ad affrontare le situazioni ambientali percepite come fonte di pericolo, ma nello stato ansioso eccessivamente intenso o protratto le stesse prestazioni declinano (ad es. un giusto livello di attivazione ansiosa aiuta nella preparazione di un esame o di una gara, ma l’eccesso di ansia può tradursi in blocco psicologico e/o errori grossolani).
Pertanto l’ansia diviene francamente patologica quando la sua origine non può essere compresa in base ad esperienze reali, o comunque essa risulta inappropriata allo stimolo che la provoca, quando disturba i pensieri dell’individuo con la propria intensità o durata, compromettendo le prestazioni e provocando rilevante sofferenza soggettiva (timore marcato o altre sensazioni penose).
L’interpretazione scientifica dei fenomeni ansiosi può avvenire secondo modelli primitivamente biologici o psicologici, ma in pratica è necessario adottare una visione unitaria e centrata sullo specifico caso clinico: abitualmente si considera l’interazione fra una predisposizione genetica e l’esposizione ad esperienze ambientali, sia precoci che recenti.
Le persone che soffrono di ansia tendono a formarsi un punto di vista soggettivo sull’origine dei propri sintomi in conseguenza dei meccanismi di condizionamento che scaturiscono dalle sensazioni spiacevoli (“in questa situazione avverto ansia = questa situazione è la causa dell’ansia”).

Come si manifesta l’ansia

Poiché rappresenta la predisposizione biologica a difendersi attivamente dai pericoli, l’ansia si associa a varie modificazioni funzionali dell’intero organismo, con manifestazioni più drammatiche e circoscritte nelle forme di ansia acuta e più sfumate e persistenti nelle forme di ansia cronica.
Così, oltre alla percezione soggettiva dell’ansia, si può presentare una serie di disturbi a vari livelli:
metabolismo (ad es. utilizzazione delle risorse energetiche, variazioni del peso corporeo);
funzionamento dei visceri ed il tono neurovegetativo (ad es. aumento dei battiti cardiaci, innalzamento della pressione del sangue, dolore toracico, alterazioni respiratorie, bocca asciutta, difficoltà di deglutizione, sensazione di stomaco chiuso, coliche addominali, timore di non trattenere feci o urine);
sonno(ad es. difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il riposo durante la notte, sensazione di non aver riposato);
alimentazione (ad es. mangiare di meno o tendenza a mangiucchiare continuamente);
sfera sessuale (ad es. difficoltà di erezione o eiaculazione precoce nel maschio, vaginismo o turbe mestruali nella femmina);
funzioni mentali (ad es. difficoltà a concentrarsi o a prendere decisioni, costruire relazioni inappropriate tra esperienze concrete e rappresentazioni temute, problemi di memoria);
attività motoria ed il comportamento (ad es. irrequietezza continua, sensazione di debolezza muscolare, necessità di evitare situazioni temute, inibizione del movimento);
emissione di segnali sociali (ad es. espressione tesa del volto, voce strozzata);
vissuto e prospettive psicologiche (ad es. dubbi continui, demoralizzazione, pessimismo del futuro);
coscienza di sé (ad es. sensazione di svenire o di perdere i confini della realtà, impressione di aver già visto o vissuto situazioni mai sperimentate prima).

Queste manifestazioni non sono presenti uniformemente ma possono combinarsi in vario modo nei singoli soggetti.

Epidemiologia e classificazione dei disturbi d’ansia

Le indagini su popolazione generale hanno documentato come oltre un soggetto su cinque possa andare incontro ad un qualche disturbo d’ansia nell’arco della vita. Nei periodi di maggiore intensità dei sintomi le persone affette da disturbi d’ansia risultano incapaci di attendere proficuamente alle proprie attività: è stato stimato che in questi casi si può determinare assenza (o presenza inefficiente) per il 10-40% delle giornate lavorative mensili.

Attualmente la classificazione clinica più diffusa dei disturbi d’ansia fa riferimento al DSM-IV-TR (2000) dell’Associazione Psichiatrica Americana.

La terminologia classificativa del DSM è facilmente confrontabile perché utilizza descrizioni esplicite, ma l’impiego dei criteri per la costruzione delle diagnosi deve essere riservato a professionisti esperti, in grado di cogliere la vera essenza delle manifestazioni cliniche. Riportiamo di seguito le diagnosi di disturbi d’ansia attualmente previsti dal DSM:
Disturbo di panico (senza / con agorafobia): è caratterizzato dal ripetersi di attacchi di ansia molto intensi della durata di alcuni minuti.
Agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico: le persone evitano di recarsi in luoghi specifici per il timore di sentirsi male.
Fobia specifica (o semplice): paura sproporzionata o irragionevole di affrontare situazioni o oggetti esterni giudicati pericolosi (ad es. luoghi elevati, mezzi di trasporto, animali, sangue, pratiche mediche).
Fobia sociale (o Disturbo da ansia sociale): il soggetto teme di non essere in grado di adempiere ad una prestazione in pubblico (ad es. parlare di fronte ad estranei).
Disturbo ossessivo-compulsivo: contenuti mentali (es. immagini sgradevoli) ed espressioni comportamentali (es. riordinare) si impongono alla volontà del paziente in modo ripetitivo ed irragionevole, e spesso i comportamenti compulsivi sono finalizzati a neutralizzare l’ansia provocata dai pensieri ossessivi.
Disturbo da stress post-traumatico e Disturbo acuto da stress: quadri specifici susseguenti all’esposizione ad eventi che determinano pericolo per l’incolumità personale (ad es. gravi incidenti, disastri naturali, scene di guerra, aggressioni e stupri).
Disturbo d’ansia generalizzato: sintomi d’ansia cronici durano molti mesi e provocano apprensione continua.

In alcuni casi possono essere soddisfatti i criteri diagnostici formali per più di un disturbo nello stesso individuo (comorbilità).
Al contrario, quando sono presenti sintomi d’ansia ma nessuna diagnosi specifica può essere formulata, si parla di Disturbo d’ansia non altrimenti specificato.
Esistono poi soggetti le cui caratteristiche ansiose appaiono connaturate e non vengono avvertite come disturbanti: è possibile in questi casi considerare una diagnosi di Disturbo di personalità del gruppo “C” (evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo ).
L’andamento delle manifestazioni ansiose risente dell’esposizione a fattori stressanti (richieste dell’ambiente a cui bisogna far fronte) che talvolta sono del tutto generici (dal superlavoro quotidiano ai problemi di salute) ma che più spesso si riferiscono a vicende personali emotivamente significative (ad esempio la fine di una relazione sentimentale).
Quando all’origine di manifestazioni d’ansia non specifiche è possibile individuare un fattore ambientale stressante, si pone diagnosi di Disturbo dell’adattamento con ansia.
Infine, la diagnosi di Disturbo d’ansia dovuto a condizione medica generale e di Disturbo d’ansia indotto da sostanze identifica direttamente una causa organica.

Diagnosi delle manifestazioni d’ansia

L’ansia in psichiatria può essere paragonata alla febbre nella medicina somatica: essa costituisce cioè una manifestazione aspecifica che deve essere interpretata all’interno di quadri morbosi.
Dovrebbe essere quindi il medico a stabilire per primo se una manifestazione ansiosa sia l’espressione secondaria di alterazioni organiche (ad es. ipertiroidismo, disturbi cardio-respiratori, alterazioni cerebrali, abuso di caffeina o cannabis) ovvero costituisca un sintomo psichiatrico primitivo.
Dal canto suo, lo psichiatra dovrà inquadrare l’ansia o come espressione parziale di un quadro psicopatologico più vasto (ad es. un disturbo ciclico dell’umore) o come elemento principale di un particolare disturbo d’ansia fra quelli più sopra elencati.
Per queste ragioni non si deve temere di sottoporsi ad una visita psichiatrica superflua anziché correre il rischio di omettere o ritardare un appropriato intervento clinico.
Al contrario, tentare di identificare da soli il proprio disturbo attraverso una lettura inesperta di testi tecnici o sottoporsi a mere procedure di autovalutazione con strumenti basati sui criteri formali del DSM espone al rischio di interpretazioni distorte della sintomatologia.

Decorso e prognosi dei disturbi d’ansia

Non è possibile fornire una descrizione generale dell’andamento dei disturbi d’ansia: esso dipende dal tipo di disturbo, dalla gravità individuale, dall’esposizione a fattori stressanti, dall’efficacia dei trattamenti.
La maggior parte dei disturbi d’ansia risponde piuttosto bene alle terapie (che riducono l’intensità dei sintomi, la disfunzione personale e la sofferenza soggettiva) soprattutto se vengono intraprese con tempestività interrompendo i meccanismi di rinforzo dei sintomi.

Bisogna distinguere interventi di fase acuta (in cui i sintomi sono particolarmente intensi e disturbanti) ed interventi di lungo periodo (quando i sintomi sono attenuati o scomparsi, ma potrebbero ripresentarsi in caso di interruzione precoce della cura).
E’ possibile che in una minoranza dei casi si osservi una risposta parziale ai trattamenti.
Talvolta l’ansia cronica non adeguatamente curata può evolvere in quadri depressivi.

Interventi farmacologici

Anticamente, le terapie farmacologiche dell’ansia erano limitate a farmaci sedativi:dapprima barbiturici e meprobamato (oggi abbandonati) e quindi le benzodiazepine (ancora largamente in uso).
Questa classe di farmaci, a causa del proprio meccanismo d’azione, può interferire con le prestazioni cognitive (attività intellettuali, guida di autoveicoli, uso di macchinari, ...) e tende ad esaurire con il tempo la propria efficacia.
Per questo le benzodiazepine risultano più adatte per la terapia d’attacco e debbono essere assunte sotto controllo medico (nonostante siano quasi sempre presenti negli armadietti domestici e spesso oggetto di consigli amicali).
Già da molti decenni gli psichiatri hanno riconosciuto l’utilità degli antidepressivi per ottenere effetti stabili di modulazione delle strutture cerebrali implicate nelle manifestazioni d’ansia. Sfortunatamente gli antidepressivi di prima generazione (“triciclici”) comportano effetti collaterali di rilievo, per cui non possono essere assunti da tutti i pazienti e bisogna spesso limitarne la posologia a dosaggi di compromesso fra efficacia e tollerabilità.
Negli ultimi anni la ricerca psicofarmacologica ha messo a disposizione strumenti di ottima maneggevolezza per il trattamento dell’ansia: gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI).
Questa classe di farmaci trova indicazione nella maggior parte dei disturbi d’ansia, ma loro somministrazione deve essere progressiva, partendo da dosaggi inferiori a quelli utilizzati in altri campi della psichiatria.
E’ bene ricordare che antidepressivi e SSRI non solo non producono dipendenza, ma sono addirittura utili al trattamento di tale sindrome.
La condotta della cura farmacologica nei disturbi d’ansia richiede un’esperienza specifica da parte del prescrittore, sia per ottimizzare i risultati (che vanno tenuti distinti fra breve e medio-lungo termine) sia per limitare al massimo gli effetti indesiderati (generalmente evitabili). Cautele specifiche sono richieste nei soggetti con patologie somatiche, in caso di gravidanza, negli anziani e negli adolescenti; ma solo raramente si tratta di controindicazioni assolute.
Nel trattamento dei disturbi d’ansia resistenti alle terapie convenzionali possono essere impiegati farmaci (di esclusiva prescrizione specialistica) la cui indicazione non è stata ancora riconosciuta dalle autorità ministeriali (FDA negli Stati Uniti, EMEA nell’Unione Europea) in attesa di evidenze sperimentali complete.
In tali casi lo psichiatra può valutare ugualmente la prescrizione (tecnicamente definita “off-label”) sulla base di consistenti evidenze scientifiche, richiedendo il consenso del paziente e monitorando da vicino il trattamento.

Interventi psicologici

Le più famose psicoterapie dell’era moderna sono nate proprio per il trattamento dei disturbi d’ansia: ad esempio, lo storico dibattito teorico-tecnico fra psicoanalisi e comportamentismo si riferisce al modello concettuale delle fobie.
Risulta impossibile fornire una informazione sintetica sulle psicoterapie disponibili per il trattamento dei disturbi d’ansia senza far torto a qualcuna fra le numerose scuole di pensiero.
E’ tuttavia corretto affermare che esistono opzioni tecniche maggiormente orientate alla modificazione del sintomo e dei suoi correlati ed altre volte a promuovere una maturazione della personalità ed a migliorare il funzionamento generale dell’individuo.
Sarebbe fuorviante per i pazienti suggerire una certa psicoterapia per una data sintomatologia in modo banale; infatti, l’indicazione di una specifica metodica deve considerare una serie di elementi di contorno (a volte più importanti della stessa manifestazione clinica) che riguardano la possibilità di coinvolgersi in una relazione con la persona del terapeuta, la capacità di fruire di una determinata procedura tecnica, l’aspettativa culturale verso una certa matrice teorica, e così via.

Psicofarmaci o psicoterapie?

Grazie alla diversificazione degli strumenti disponibili non sussistono oggi ostacoli all’integrazione dei trattamenti farmacologici con altri interventi, e la contrapposizione tecnica fra psicoterapie e farmacoterapie deve ritenersi del tutto superata.
Esistono semmai casi in cui un intervento può essere considerato fondamentale e l’altro complementare, o viceversa.
Tale giudizio tiene conto anche delle fasi del disturbo e di condizioni indipendenti dalla sintomatologia, come l’effettiva praticabilità di un determinato intervento in un dato soggetto.
Per questo è fondamentale ricevere un inquadramento specialistico da professionisti qualificati e svincolati da conflitti d’interesse.

La richiesta d’aiuto

Nella maggior parte dei casi i disturbi d’ansia non appaiono gravi in rapporto alle caratteristiche della sintomatologia psichiatrica: essa infatti non degenera mai nell’alienazione mentale, nonostante i tipici timori dei pazienti in questo senso (“ho la sensazione di impazzire”).
Al contrario, nonostante le apparenze, i disturbi d’ansia richiedono una specifica attenzione clinica sia per il livello di sofferenza soggettiva sia per la disfunzione personale che essi determinano.
A volte la presenza di un disturbo d’ansia può penalizzare significativamente le potenzialità di successo personale: alcuni individui non riescono ad affrontare situazioni sociali o lavorative per cui sarebbero perfettamente preparati (ad es. nella fobia sociale o nel disturbo di panico) mentre altri non riescono ad utilizzare in modo fluido le proprie abilità intellettive (come del disturbo ossessivo-compulsivo).
Proprio a causa delle loro condizioni psicologiche, i pazienti ansiosi possono vergognarsi di riferire i propri sintomi (“non voglio essere preso per matto”) o temere le conseguenze degli interventi di cura e riabilitazione (“i farmaci possono far male”, “lo psicoterapeuta può condizionare le mie scelte personali”).
Spesso, sotto la pressione del disagio, le persone si confidano in prima battuta con familiari, amici, istruttori di discipline fisiche o spirituali; altre volte esse ricercano il senso del proprio malessere attraverso la lettura di opere letterarie o filosofiche, oppure investendo impropriamente le pratiche religiose.
La frequente autosomministrazione di farmaci ansiolitici (in genere benzodiazepine come diazepam, lorazepam, alprazolam, ...) raramente risulta pericolosa in sé, ma ritarda la diagnosi clinica e facilita la cronicizzazione del disturbo.
Assai più dannoso è invece rivolgersi all’alcol per “distendere i nervi”, dato che sussiste il rischio di sviluppare dipendenza e/o di provocare danni all’organismo.
I medici di famiglia ricevono di solito la prima richiesta d’aiuto professionale da parte dei soggetti ansiosi, oppure sospettano o identificano un ruolo causale dell’ansia nei sintomi fisici dei loro pazienti.
Dal momento che alcuni sintomi d’ansia possono essere prodotti da malattie fisiche, è comunque importante che un medico (di medicina generale o specialista in aree specifiche) escluda preventivamente la presenza di alcune patologie (es. ipertiroidismo, anemia, malattie cardiache o polmonari).
Altre persone ansiose possono rivolgersi direttamente ad uno psicoterapeuta in base a conoscenze personali.
Però non si dovrebbe mai intraprendere un trattamento farmacologico o psicologico senza l’inquadramento preliminare di uno psichiatra, che deve effettuare la diagnosi differenziale ed informare il paziente su tutte le possibili opzioni di cura idonee al caso specifico.
La psichiatria costituisce infatti la specializzazione medica deputata alla comprensione ed alla cura dei disturbi mentali e comportamentali sulla base di conoscenze scientifiche interdisciplinari.

Anoressia e bulimia nel sesso maschile

Non sono solo problemi da donne...


I modelli di bellezza che trasmettono i mass media identificano la perfezione con la magrezza. Questo bombardamento mediatico ha influenze negative sui giovani, sui loro comportamenti e sulle abitudini alimentari adottate per raggiungere questo anomalo ideale di perfezione.
Che i disturbi alimentari – anoressia e bulimia – colpiscano numerose ragazze è ormai noto, ma non tutti sanno che queste patologie si stanno diffondendo in maniera sempre più preoccupante anche tra i ragazzi: in Italia sono due milioni le persone che soffrono di anoressia e/o bulimia e circa 200.000 di esse (il 10% circa) sono uomini; la percentuale sale (circa 20%) se si considera la fascia di età che va dai 13 ai 17 anni. Un dato in crescita, se si pensa che fino a qualche anno fa la percentuale maschile di soggetti affetti da anoressia non superava l’1%.
Ma come è possibile riconoscere un ragazzo che soffre di disturbi alimentari? Questo tipo di malattia è socialmente identificata come una problematica femminile ed è associata all’estrema magrezza della ragazza, oltre che all’amenorrea (assenza del ciclo mestruale per lunghi periodi); risulta, quindi, complicato identificare soggetti maschili anoressici o bulimici.
Alle difficoltà diagnostiche si uniscono i modelli sociali ormai consolidati e forvianti: un uomo che mangia molto e spesso non è “strano” quanto una ragazza e non è anomalo che trascorra lunghi periodi in palestra e curi il proprio corpo. Sono proprio questi, però, i segnali identificativi del maschio anoressico e/o bulimico: un individuo di sesso maschile che cura molto il proprio corpo, utilizza anabolizzanti, spesso anche purganti, e che segue diete ferree per modellare il proprio corpo va seguito e tenuto sotto osservazione da parte di genitori e medici. Ma non bastano solo questi indicatori; l’assenza di parametri fisici che permettano una immediata diagnosi rendono determinanti i segnali psicologici. Un uomo che soffre di disturbi alimentari ha maggiori preoccupazioni legate al cibo rispetto alle donne anoressiche e ha difficoltà più evidenti anche a livello psicologico: numerosi problemi personali, scarsa autostima, disturbi dell’umore e problematiche familiari.
Ma se per le donne è l’ideale di bellezza il principale responsabile dei disturbi alimentari, per gli uomini si ipotizza un legame con problemi della sfera sessuale. La non accettazione della propria sessualità è una causa frequente dell’anoressia maschile; alcune ricerche hanno evidenziato il legame tra omosessualità e casi di anoressia, con conseguenze di impotenza e/o abbassamento del livello di testosterone. Cosi come per le donne, anche per i numerosi casi di anoressia maschile non esiste una cura univoca: è necessario procedere per gradi, a seconda del livello di gravità della malattia.
La mancanza di cure specifiche rende fondamentale anche l’attività di prevenzione e comunicazione da parte di scuole e istituzioni per educare e monitorare i giovani nell’età critica, quella pre-puberale. Proprio con queste finalità è stato presentato nei giorni scorsi il Progetto nazionale per la prevenzione di anoressia e bulimia, promosso dal Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive, in collaborazione con il Ministero della Salute, che coinvolgerà proprio gli insegnanti, le scuole, i mass media, il mondo dello sport e le famiglie.

Disagio psicologico ed alimentazione

La magrezza è oggi uno status symbol costantemente esaltato da mode e campagne pubblicitarie, cinema e tv. L'aggettivo anoressica è diventato, nell'uso comune e quotidiano, semplicemente un sinonimo di magrezza eccessiva. Eppure, l'anoressia e la sua "sorella" la bulimia sono gravi disagi psicologici che trovano nel fisico l'espressione di un malessere di vivere profondo. Ed è un malessere che non colpisce soltanto persone di un determinato stato sociale né di una ben distinta fascia d'età. È indubbio però che tanto anoressia quanto bulimia hanno una certa predilezione per le donne.Sebbene l'anoressia sia la forma più conosciuta di questo disagio, la bulimia, in realtà, ha più conseguenze sull'organismo in generale. L'anoressia, infatti, ha come "unico" effetto il calo del peso, mentre la bulimia, a causa del vomito indotto e dell'uso di diuretici e lassativi per disfarsi del cibo ingurgitato, provoca il danneggiamento della valvola cardiale, delle gengive e dei denti, la mancata assimilazione dei sali minerali e lo sconvolgimento delle funzioni intestinali. Anche la causa che scatena queste due reazioni così drastiche nei confronti del cibo varia: sembrerebbe che mentre l'anoressia è fondamentalmente provocata da un conflitto tra madre e figlia, la bulimia viene causata da una ribellione nei confronti del conformismo quotidiano. Cioè, il paziente bulimico è apparentemente un conformista, ma vi si adatta male e cerca nella trasgressione alimentare quella ribellione nei confronti del mondo che non ha il coraggio di attuare.I primi segni che tradiscono l'anoressia sono innanzitutto un dimagrimento eccessivo, ben al di sotto del normale ed un'immediata amenorrea; la bulimia, invece, è molto più subdola. Le alternanze tra abbuffate e vomito indotto o assunzione di lassativi si equilibrano in modo che non ci siano reali aspetti esteriori a segnare l'insorgenza della malattia. Inoltre, la persona bulimica agisce di nascosto, quindi il suo problema non è facilmente ravvisabile. L'anoressica solitamente rifiuta di mangiare ed inventa una serie infinita di scuse per evitare di alimentarsi; se proprio non può fare a meno di sedersi a tavola, prende pochissimo cibo per poi lasciarlo comunque nel piatto, oppure lo nasconde nel tovagliolo per gettarlo in seguito. Man mano che la malattia progredisce, la persona si estranea sempre più, evitando accuratamente uscite in pubblico. La bulimia, invece, si è detto, non ha sintomi esteriori, ma la persona bulimica si vergogna delle eventuali abbuffate che manifesta in pubblico e del fatto che si debba nascondere per andare a vomitare in seguito, quindi anch'essa tenderà ad isolarsi dal mondo. Le crisi di bulimia possono durare anche un paio d'ore; la bulimica si fermerà soltanto quando avrà mangiato fino a scoppiare.È chiaro che tutte e due le malattie vanno innanzitutto trattate con la psicoterapia, ma anche un certo comportamento nei confronti delle persone anoressiche o bulimiche può aiutare a rendersi conto della situazione. Con le anoressiche, è importante stabilire con il medico il limite oltre il quale la persona sa di non dover scendere, pena il ricovero ospedaliero. Inoltre, quando si mangia in famiglia bisogna apparecchiare anche per lei, in modo che si senta responsabilizzata verso la propria salute e che condivida le abitudini di famiglia, soprattutto riguardanti i pasti in comune; potrebbe essere utile anche servirla. La persona bulimica, invece, deve soprattutto mangiare pasti non troppo succulenti (poco sale, poco condimento e poche spezie), in un'atmosfera estremamente rilassata, in cui si parli di argomenti non troppo impegnativi. Le porzioni dovranno essere già pronte nei piatti in modo da evitare abbuffate. Sia nel caso di persone anoressiche che bulimiche il primo grande passo è però avere la consapevolezza di essere malate e di doversi curare immediatamente.

L'anoressia

L’anoressia è un disturbo del comportamento alimentare finalizzato al mantenimento o all’incremento dello stato di magrezza e caratterizzato da marcata riduzione del peso corporeo associata ad una distorta percezione dell’immagine corporea.In Italia circa l'1% degli adolescenti soffre di anoressia e il 15% presentano disturbi alimentari e comportamenti a rischio. Tra le malattie psichiatriche, è quella gravata dalla più alta mortalità, legata a complicanze della grave denutrizione e, in alcuni casi, a suicidio.

Quando il cibo diventa un nemico

Un corpo perfetto: un sogno che diventa ossessione per tre milioni di italiani, il 90% dei quali donne. Mentre il mondo si interroga sulla sempre maggiore incidenza dei disturbi legati al cibo e alle responsabilità che ricoprono la società, il mondo della moda e i genitori, si susseguono le ricerche volte a fotografare l’incidenza delle patologie alimentari nel nostro Paese e si moltiplicano le iniziative contro questa malattie.Aumentano i casi di bulimia e anoressia, lo rivelano i dati recentemente resi noti dall'Associazione nazionale dietisti. Un numero sempre maggiore di donne over 40 soffre di anoressia, mentre la bulimia sembra essere il nuovo male delle giovanissime (convive con questa patologia l’1% delle giovani donne tra i 12 e i 25 anni, contro lo 0,5% che soffre di anoressia). Ma i dati più allarmanti riguardano i bambini: Massimo Cuzzolaro dell'Università La Sapienza di Roma, ha dichiarato nel corso del recente congresso nazionale della AND, che ad ammalarsi di anoressia sono anche bambini di otto anni: “si tratta di casi isolati e rari – ha chiarito lo studioso – ma i sintomi ci sono tutti, primo fra tutti il vomito autoindotto”. Un’indagine realizzata recentemente dall’ABA (Associazione per lo studio e la ricerca sull'anoressia, la bulimia, l'obesità e i disordini alimentari) su 3894 soggetti ha dimostrato che il 96,8% dei soggetti colpiti da questi disturbi sono donne, il 68% ha un diploma di scuola superiore e il 12% è laureato, nel 28,5% dei casi lo status socio-economico del paziente è medio-alto e nel 56% è medio (solo il 15,3% dei pazienti proviene da un ceto socio-economico basso). Ciò dimostrerebbe che i disturbi alimentari, legati secondo gli esperti spesso a problemi affettivi e familiari, colpiscono soprattutto persone di un livello culturale e sociale medio-alto. Sempre più numerose le iniziative legate alla lotta a queste patologie. Una fra tutte: nascerà a Roma nel 2008 la prima casa per la cura di anoressia e bulimia, presso la ASL C. I lavori di ristrutturazione dei locali destinati al centro stanno per iniziare e costeranno 1,2 milioni di euro. Queste le principali attività previste: terapia di gruppo, mindfulness, teatro-terapia, arte-terapia oltre che, naturalmente, attività finalizzate alla diagnosi, al trattamento psicoterapeutico e riabilitativo.Il centro avrà una natura semiresidenziale e il pasto rappresenterà uno delle nuclei fondamentali della terapia: come spiegato da Vito Salvemini, direttore responsabile dell'Unità Operativa Disturbi del comportamento alimentare dell'ospedale S. Eugenio, si formeranno dei gruppi di pazienti per recuperare insieme la capacità di riconoscere le sensazioni corporee e di migliorare le proprie capacità relazionali e personali attraverso l’esperienza del pasto in comune. La degenza media durerà circa quattro mesi e i familiari del paziente saranno chiamati a partecipare ad interventi di gruppo per ricostruire o rinsaldare rapporti che possono rappresentare un ostacolo alla guarigione.

Disagio psicologico ed alimentazione

La magrezza è oggi uno status symbol costantemente esaltato da mode e campagne pubblicitarie, cinema e tv. L'aggettivo anoressica è diventato, nell'uso comune e quotidiano, semplicemente un sinonimo di magrezza eccessiva. Eppure, l'anoressia e la sua "sorella" la bulimia sono gravi disagi psicologici che trovano nel fisico l'espressione di un malessere di vivere profondo. Ed è un malessere che non colpisce soltanto persone di un determinato stato sociale né di una ben distinta fascia d'età. È indubbio però che tanto anoressia quanto bulimia hanno una certa predilezione per le donne.Sebbene l'anoressia sia la forma più conosciuta di questo disagio, la bulimia, in realtà, ha più conseguenze sull'organismo in generale. L'anoressia, infatti, ha come "unico" effetto il calo del peso, mentre la bulimia, a causa del vomito indotto e dell'uso di diuretici e lassativi per disfarsi del cibo ingurgitato, provoca il danneggiamento della valvola cardiale, delle gengive e dei denti, la mancata assimilazione dei sali minerali e lo sconvolgimento delle funzioni intestinali. Anche la causa che scatena queste due reazioni così drastiche nei confronti del cibo varia: sembrerebbe che mentre l'anoressia è fondamentalmente provocata da un conflitto tra madre e figlia, la bulimia viene causata da una ribellione nei confronti del conformismo quotidiano. Cioè, il paziente bulimico è apparentemente un conformista, ma vi si adatta male e cerca nella trasgressione alimentare quella ribellione nei confronti del mondo che non ha il coraggio di attuare.I primi segni che tradiscono l'anoressia sono innanzitutto un dimagrimento eccessivo, ben al di sotto del normale ed un'immediata amenorrea; la bulimia, invece, è molto più subdola. Le alternanze tra abbuffate e vomito indotto o assunzione di lassativi si equilibrano in modo che non ci siano reali aspetti esteriori a segnare l'insorgenza della malattia. Inoltre, la persona bulimica agisce di nascosto, quindi il suo problema non è facilmente ravvisabile. L'anoressica solitamente rifiuta di mangiare ed inventa una serie infinita di scuse per evitare di alimentarsi; se proprio non può fare a meno di sedersi a tavola, prende pochissimo cibo per poi lasciarlo comunque nel piatto, oppure lo nasconde nel tovagliolo per gettarlo in seguito. Man mano che la malattia progredisce, la persona si estranea sempre più, evitando accuratamente uscite in pubblico. La bulimia, invece, si è detto, non ha sintomi esteriori, ma la persona bulimica si vergogna delle eventuali abbuffate che manifesta in pubblico e del fatto che si debba nascondere per andare a vomitare in seguito, quindi anch'essa tenderà ad isolarsi dal mondo. Le crisi di bulimia possono durare anche un paio d'ore; la bulimica si fermerà soltanto quando avrà mangiato fino a scoppiare.È chiaro che tutte e due le malattie vanno innanzitutto trattate con la psicoterapia, ma anche un certo comportamento nei confronti delle persone anoressiche o bulimiche può aiutare a rendersi conto della situazione. Con le anoressiche, è importante stabilire con il medico il limite oltre il quale la persona sa di non dover scendere, pena il ricovero ospedaliero. Inoltre, quando si mangia in famiglia bisogna apparecchiare anche per lei, in modo che si senta responsabilizzata verso la propria salute e che condivida le abitudini di famiglia, soprattutto riguardanti i pasti in comune; potrebbe essere utile anche servirla. La persona bulimica, invece, deve soprattutto mangiare pasti non troppo succulenti (poco sale, poco condimento e poche spezie), in un'atmosfera estremamente rilassata, in cui si parli di argomenti non troppo impegnativi. Le porzioni dovranno essere già pronte nei piatti in modo da evitare abbuffate. Sia nel caso di persone anoressiche che bulimiche il primo grande passo è però avere la consapevolezza di essere malate e di doversi curare immediatamente.

Attenzione ai ragazzini troppo interessati alla bilancia: potrebbero essere predisposti a disturbi dell'alimentazione

Se gli adolescenti passano troppo tempo sulla bilancia e il controllo del peso diventa per loro un’ossessione, ciò può essere una spia molto attendibile di disturbi dell’alimentazione. Questo l’allarme lanciato recentemente sulle pagine del Journal of Adolescent Health dai ricercatori dell’Università del Minnesota che hanno appena concluso uno studio su 2.516 adolescenti maschi e femmine tra i 12 e i 18 anni ai quali è stato chiesto di riferire sulle abitudini alimentari e sul controllo del peso per un periodo di cinque anni.La ricerca si è dimostrata realmente utile per far luce sui complesso rapporto tra i ragazzini e la bilancia. Gli scienziati statunitensi hanno, infatti, osservato come un terzo delle ragazzine e un quarto dei ragazzini abbiano confessato di pesarsi continuamente. A distanza di cinque anni, proprio quelle ragazzine sono risultate essere state colpite da disturbi dell’alimentazione come anoressia, uso di lassativo per indurre il vomito, binge eating (grandi abbuffate) e bulimia. I ragazzini sembrano, invece, meno predisposti a soffrire di questi disturbi, anche quelli che hanno vissuto un rapporto stretto con la bilancia.

Nuove linee guida per l'angina instabile e l'infarto senza ST elevato (NSTEMI)

L'ACC in collaborazione con l'AHA ha pubblicato le nuove linee guida sul trattamento dell'angina instabile e dell'infarto miocardico senza sopraslivellamento di ST.L'American College of cardology e l'American Heart Association hanno aggiornato le linee guida del 2002 sul trattamento dell'angina instabile e dell'infarto miocardico senza ST elevato.Di seguito i punti principali che le differenziano dalle precedenti.
1. Le LG precedenti consigliavano un approccio invasivo precoce (coronarografia e rivascolarizzazione) mentre ora si raccomanda di stratificare il paziente in base al rischio. Per determinare il rischio di usa uno score clinico a cui può essere utile aggiungere il dosaggio delle troponine e del BNP.2. Per i pazienti instabili e ad alto rischio si consiglia una strategia invasiva precoce, da attuare preferibilmente tra 6 e 24 ore , piuttosto che tra 48 e 96 ore.3. I pazienti stabili e quelli a basso rischio possono essere trattati con terapia medica, eseguendo test non invasivi come lo stress test, l'ecocardiogramma e l'angiografia a radionuclidi. L'angioplastica peggiora gli esiti nelle donne a basso rischio.4. Dopo impianto di stent medicato il clopidogrel deve essere somministrato alla dose di 75 mg/die per un anno o più, associato all'aspirina (162-325 mg/die) per 3 mesi o più nello stent al sirolimus e per 6 mesi nello stent al paclitaxel e poi continuata sine die alla dose di 75-162 mg/die.5. I pazienti trattati in maniera conservativa devono ricevere aspirina (75-162 mg/die) per sempre associata per 1-12 mesi al clopidogrel (75 mg/die).6. I pazienti trattati con stent non medicati devono ricevere aspirina (162-325mg/die) per 1 mese, continuata poi per sempre alla dose di 75-162 mg/die, in associazione con clopidogrel (1-12 mesi) alla dose di 75 mg/die.7. Durante il ricovero si devono evitare i FANS. Le donne devono smettere la terapia orminale sostitutiva se in corso.8. Per la prevenzione secondaria è necessario smettere di fumare.9. Sono consigliati inoltre inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina per ridurre il rimodellamento miocardico e i bloccanti il recettore dell'aldosterne per lo scompenso cardiaco.10. Vitamine e acido folico non sono più raccomandati perchè i trials clinici suggerisocno, in alcuni casi, possibili esiti negativi.11. Il colesterolo LDL deve essere mantenuto al di sotto di 100 mg/dL (ottimale: 70 mg/dL) e la pressione al di sotto di 140/90 mmHg (nei diabetici e nelle nefropatie croniche il target è inferiore a 130/80 mmHg)
Fonte:Anderson JL et al. ACC/AHA 2007 guidelines for the management of patients with unstable angina/non-ST-elevation myocardial infarction. A report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol. 2007; DOI:10.1016/j.jacc.2007.02.028. Available at: http://content.onlinejacc.org/cgi/content/full/50/7/e1. Circulation. 2007; DOI:10.1161/CIRCULATIONAHA.107.185752. Available at: http://circ.ahajournals.org/cgi/reprint/CIRCULATIONAHA.107.185752.
Commento di Renato Rossi
Le maggiori novità di queste linee guida sono probabilmente la stratificazione dei pazienti in base al rischio e la sconfessione delle vitamine e dell'acido folico.Le linee guida riconoscono che i pazienti a basso rischio possono essere trattati in modo conservativo: in questa raccomandazione hanno recepito i risultati del recente studio ICTUS [1].Per individuare i pazienti a rischio elevato che necessitano di un approccio invasivo precoce si ricorread una valutazione clinico-strumentale e laboratoristica di prima linea. Sono considerate a rischio le seguenti categorie: pazienti che nelle ultime 48 ore hanno avuto un peggioramento dei sintomi ischemici con dolore a riposo superiore ai 20 minuti, presenza di edema polmonare, soffio mitralico di nuova insorgenza o peggiorato, rantoli, ipotensione, bradicardia, tachicardia, età superiore ai 75 anni, angina a riposo o cambiamenti transitori dell'ST > 0,5 mm, comparsa di blocchi di branca, aumento degli enzimi cardiaci.Per quanto riguarda l'uso delle vitamine e dell'acido folico in prevenzione secondaria ormai sono numerosi gli studi che ne hanno decretato l'inutilità se non la pericolosità, l'ultimo pubblicato quasi contemporaneamente a queste linee guida [2].Altri punti che meritano di essere segnalati sono il riconoscimento dell'azione negativa che i FANS possono avere sull'apparato cardiovascolare e la raccomandazione di protrarre la doppia antiaggregazione (asa + clopigogrel) per almeno 12 mesi nei pazienti trattati con stent medicati, problematica a cui sono state dedicate numerose pillole e che aveva ricevuto, recentemente, anche l'attenzione della FDA.
Referenze1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=31952. Cook NR et al. A Randomized Factorial Trial of Vitamins C and E and Beta Carotene in the Secondary Prevention of Cardiovascular Events in Women. Results From the Women's Antioxidant Cardiovascular Study. Arch Intern Med. 2007 13/27 Aug;167:1610-1618.