mercoledì 28 maggio 2008

Allattamento: naturale o artificiale?

Una scelta informata?

In questi mesi è stata alla ribalta la questione dei prezzi del latte artificiale, in Italia molto più elevati che negli altri paesi della Comunità Europea. La legittima battaglia per un mercato equo dei prezzi ha fatto forse perdere di vista il nodo di questo problema, e cioè il fatto che la maggior parte delle donne ricorre a questo alimento sostitutivo non per scelta, ma perché non è riuscita ad allattare al seno quanto voleva. Se tutte le donne che desiderano nutrire il figlio con il proprio latte potessero attuare l’allattamento al seno senza ostacoli, secondo le stime dei ricercatori il ricorso al latte artificiale sarebbe ristretto a una minoranza veramente esigua (si calcola che le donne con un’impossibilità organica ad allattare siano tra il cinque e l’uno per cento).Le controindicazioni assolute ad allattare sono veramente poche, e riguardano rarissimi difetti del metabolismo del bambino, o gravi malattie infettive materne come l’AIDS e l’epatite B in fase acuta. Pochi farmaci, poi, precludono l’allattamento: alcuni possono essere sospesi temporaneamente, altri possono essere assunti mentre l’allattamento prosegue sorvegliando lo stato di salute del neonato. Nella maggior parte dei casi di malattie o condizioni croniche materne, per esempio la miopia, la donna può allattare suo figlio. Spesso le controindicazioni all’allattamento vengono confuse con quelli che sono invece semplici ostacoli: problemi al seno, bambino che si attacca male o rifiuta di poppare. Mentre le vere controindicazioni rendono sconsigliabile l’allattamento, gli ostacoli sono solo segnali di difficoltà che si possono superare.

Perché molte donne non riescono ad allattare?

I veri ostacoli all’allattamento al seno sono di carattere sociale e pratico. Molte donne non ricevono le informazioni giuste su cosa è normale in un lattante, per esempio non sanno che è normale che si svegli la notte, o che a volte può avere bisogno di poppare al seno finché non si stacca spontaneamente, e con una frequenza elevata, anche 8-12 volte in 24 ore. Paradossalmente, lo standard è spesso considerato l’alimentazione con il biberon (sei o sette pasti al giorno con quantità prestabilite di latte), ma questi criteri poco si adattano alla natura dell’allattamento al seno. Anche le curve di crescita dei neonati allattati al seno sono diverse da quelle di chi prende il latte artificiale o di chi segue un’alimentazione mista. Ci si allarma, temendo la fine dell’allattamento, di fronte ai cambiamenti fisiologici del secondo-terzo mese, come la morbidezza dei seni, la fine delle perdite spontanee di latte o il ritorno delle mestruazioni. Quando l’andamento dell’allattamento comincia a non conformarsi alle aspettative, spesso si ritiene erroneamente che il latte sia insufficiente e si comincia a somministrare aggiunte.A volte il bambino sta effettivamente assumendo meno latte del necessario, ma molte mamme non sanno che il latte può anche tornare ad aumentare se si cambia la gestione dell’allattamento correggendo gli aspetti non adeguati. Può darsi per esempio che il bambino non stia poppando in modo efficace, oppure non viene messo al seno tutte le volte che ne segnala il bisogno, perché si cerca di distanziare le poppate, dando magari il ciuccio o la camomilla, nel tentativo di conformare i ritmi a quelli dell’alimentazione artificiale. In questo caso l’allattamento non ingrana come dovrebbe, e la soluzione proposta per prima è spesso quella, ancora una volta, dell’aggiunta di latte artificiale. Tuttavia l'uso del biberon può far declinare l'allattamento al seno portando a poppate non a richiesta o a una suzione scorretta del bambino.L’unico criterio affidabile per capire se il bambino sta prendendo latte a sufficienza è controllare che bagni bene almeno 4-5 pannolini al giorno e che cresca secondo i parametri appropriati per la sua età. È molto importante che la mamma in difficoltà sappia riconoscere il momento in cui chiedere aiuto e possa rivolgersi a persone esperte di lattazione. Potrà così essere aiutata a correggere quegli aspetti che stanno ostacolando la piena riuscita dell’allattamento e, nel caso sia per qualche tempo necessaria un’integrazione al latte materno, consigliata su come farlo senza interferire con il mantenimento della lattazione.

Quali pregiudizi incidono sul successo dell’allattamento?

I pregiudizi nei confronti dell’allattamento materno hanno radici profonde che vanno oltre gli aspetti strettamente legati alle scelte alimentari. Un grosso equivoco consiste nel ritenere l’allattamento al seno come una modalità di nutrizione del bambino, così come lo è dare un biberon. Di fatto, invece, attaccare al seno un figlio è un modo per accudirlo in tutti i suoi bisogni, non solo quelli alimentari. Insieme ai nutrienti si forniscono al bambino fattori immunitari, ormoni, enzimi, sostanze tranquillanti: il latte materno è un tessuto vivo e un complesso di “segnali chimici” che modellano in modo sottile il metabolismo del bambino. Inoltre al seno materno il bambino trova calore, contatto fisico, tenerezza e interazione umana, insomma un’intimità rassicurante di cui egli si avvale per crescere non solo fisicamente, ma anche emotivamente e dal punto di vista intellettivo.Ridurre il gesto di dare il seno alla sola funzione di nutrire crea molti degli equivoci che fanno condurre l’allattamento in modo non appropriato: per esempio non offrendo il seno a richiesta ma solo quando si ritiene che il bambino abbia bisogno di mangiare. Questo porta a non sfruttare appieno tutte le potenzialità che questo meccanismo biologico ha predisposto per le madri e i bambini. La stessa visione riduttiva fa sì che anche lo svezzamento venga effettuato sostituendo un pasto a ciascuna poppata fino a un rapido abbandono dell’allattamento materno, invece che integrando le poppate al seno con i cibi solidi, il che permetterebbe di ottimizzare l’apporto di nutrienti per il bambino nella seconda metà del primo anno.

Perché tanti dubbi nelle mamme che allattano?

La nostra cultura tende di fatto a svalutare la mamma che allatta e a creare insicurezze piuttosto che incoraggiarla, sostenerla e riconoscere la sua capacità di allattare. Spesso si esprime sfiducia nella capacità biologica e psicologica di madri e bambini di trovare un loro equilibrio, maturare ed evolvere nella loro relazione senza doversi attenere a regole standardizzate. Nella nostra società, la “normalità” del biberon ha come controparte la “straordinarietà” del seno materno e la donna che allatta è spesso lasciata sola con le sue insicurezze, senza conferme sociali ed anzi guardata, soprattutto dopo i primissimi mesi di allattamento, come un’originale o un’estremista. La vera e propria ossessione di non produrre abbastanza latte, caratteristica dei paesi in cui l’allattamento al biberon è la norma, fa vivere alla nutrice questi mesi senza l’appoggio e la serenità che le sarebbe necessaria.La proposta culturale che proviene da un allattamento al seno a richiesta si integra a fatica nella costellazione di valori dominanti nella nostra cultura. La funzione sessuale attribuita al seno può paradossalmente creare dei conflitti quando questo è utilizzato nella sua funzione naturale di accudire un neonato. La valorizzazione del lavoro produttivo ed extradomestico si traduce in una svalutazione del lavoro materno, che oggi si svolge spesso nella solitudine di un appartamento, piuttosto che in un contesto sociale collettivo e allargato. La calma, l’istinto, la flessibilità e la disponibilità di tempo che richiede un bambino trovano poco spazio nel ritmo frenetico e strutturato delle nostre vite.L’approccio prevalente, incentrato sulla produzione e sul consumo di oggetti, si applica senza difficoltà all’utilizzo di latte artificiale e biberon, mentre l’allattamento materno risulta un processo sfuggente, non facilmente definibile, misurabile o controllabile.

Come cambiare approccio?

L’esaltazione dell’indipendenza, intesa anche come emancipazione dal bisogno di aiuto del prossimo, propria della nostra società, ostacola l’accettazione dell’intenso e prolungato legame che esprime la coppia nutrice-lattante, e in ultima analisi nega anche quel bisogno di intimità e interdipendenza che non è del bambino, ma è semplicemente umano. Restituire all’allattamento al seno il suo posto di funzione fisiologica e di naturale prosecuzione della gravidanza e del parto significa operare una rivoluzione copernicana nel mondo della puericultura. Allattare al seno in realtà non richiede orologi, bilance, disinfettanti, abbigliamento o attrezzature particolari: è sufficiente controllare periodicamente il bambino per verificare quei segni fisiologici che ne confermano l’accrescimento e la buona salute.Il breve ma basilare periodo della lattazione non è la fase adatta per educare o condizionare il bambino ad abitudini ed orari specifici: si tratta di pochi mesi di vita, durante i quali però l’allattamento veicolerà l’apprendimento sociale ed emotivo del bambino; seguire le sue necessità in questa fase transitoria non comporta vizi, come confermato dai dati relativi allo sviluppo affettivo dei bambini allattati anche a lungo. Una volta rinunciato a far rientrare l’allattamento materno in schemi che non gli sono propri, recuperata una frugalità che non ha bisogno di complicate attrezzature, è possibile ritrovare nell’allattamento materno non tanto l’eccezionalità di un dono speciale che la madre fa al bambino, ma la naturalità di un processo semplice che ha milioni di anni di storia.

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