venerdì 30 maggio 2008

Non ritardare l'appendicectomia negli adulti

Secondo uno studio retrospettivo le complicanze dell'appendictomia sono tanto più frequenti quanto più tempo trascorre dall'inizio dei sintomi.In questo studio sono state riviste le cartelle cliniche di 1081 adulti appendicectomizzati per appendicite acuta, per determinare il tempo intercorso tra l'inizio dei sintomi e l'arrivo in ospedale e quello tra l'arrivo in ospedale e l'intervento chirurgico. Si è così visto che più tempo passa dall'inizio dei sintomi a quando il pazientie viene operato e più aumenta il rischio di complicanze (perforazioni, ascessi, flemmoni, appendicite gangrenosa). Per esempio il rischio di trovarsi davanti ad una malattia in fase avanzata risultava essere 13 volte maggiore per intervalli > 71 ore che per intervalli < 12 ore. Gli autori concludono che negli adulti il rischio di malattia avanzata e di complicanze post-operatorie aumenta con il tempo trascorso dall'inizio dei sintomi per cui non è sicuro ritardare l'intervento. Tuttavia siccome questi dati derivano da uno studio retrospettivo essi auspicano uno studio prospettico per confermarne la validità.

Fonte:Ditillo MF et al. Is it safe to delay appendectomy in adults with acute appendicitis? Ann Surg 2006 Nov; 244:656-60.

Commento di Renato Rossi

Questo studio contrasta con un lavoro dallo stessso disegno retrospettivo [1], ma di casistica più limitata (poco più di 300 soggetti), in cui si evidenziava che, nei pazienti adulti clinicamente stabili, ritardare l'appendicectomia di 12 ore non portava a conseguenze negative. E' difficile spiegare la differenza trovata nei due lavori (potrebbe trattarsi di una coorte differente di pazienti), il che dimostra che gli studi retrospettivi eseguiti sull'esame delle cartelle cliniche forniscono risultati che vanno valutati con molta cautela. D'altra parte studi precedenti hanno fornito risultati in parte controversi. Per esempio in uno studio osservazionale su 486 pazienti [2] è stato visto che il ritardo legato al paziente aumentava le complicanze infettive e la durata del ricovero mentre il ritardo legato al chirurgo sembra non influire sullo stadio della malattia, per cui gli autori concludevano che la decisione di tenere sotto osservazione il paziente per chiarire la diagnosi può essere giustificata. In un altro studio su 114 pazienti [3] si evidenziava che il ritardo (quasi sempre legato al paziente) aumentava la morbidità. Per contro, in uno studio su 126 bambini con appendicite acuta [4] dilazionare l'intervento dalla notte al mattino sucessivo non aumentava le complicazioni.Dal canto nostro, alla luce di questi nuovi dati, ci sembra che sia da rivedere quanto scrivemmo in una precedente pillola di commento [1]: nell'incertezza è preferibile non ritardare l'intervento, soprattutto se sono trascorse molte ore dall'inizio dei sintomi. In quell'occasione facevamo però notare che:1) i due gruppi considerati nello studio potevano non essere paragonabili, pertanto anche se gli autori avevano trovato che non vi erano differenze per alcuni fattori che influenzano la prognosi come l'età, il numero di leucociti e la temperatura corporea, è possibile che non tutte le variabili fossero state considerate, per cui i pazienti operati più tardi erano in realtà quelli con quadro clinico meno grave2) la casistica presa in esame era abbastanza limitata e non in grado di svelare piccole differenze di esiti.Insomma, in medicina il dato conclusivo non esiste quasi mai, a maggior ragione se deriva da studi dal disegno osservazionale.

Referenze1. Abou-Nukta F et al. Effects of delaying appendectomy for acute appendicitis for 12 to 24 hours. Arch Surg 2006 May; 141:504-7.
Vedi: http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=25702. Eldar S et al. Delay of surgery in acute appendicitis. Am J Surg. 1997 Mar;173(3):194-83. Maroju NK et al. Delay in surgery for acute appendicitis. ANZ J Surg. 2004 Sep;74(9):773-6.4. Yardeni D et al. Delayed versus immediate surgery in acute appendicitis: do we need to operate during the night? J Pediatr Surg. 2004 Mar;39(3):464-9

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