mercoledì 28 maggio 2008

L’amniocentesi non modifica rischio aborto

«La donna che si sottopone ad amniocentesi corre lo stesso rischio di aborto della donna che decide di non farla». Lo afferma Claudio Giorlandino, presidente della SIDIP, Società Italiana di Diagnosi Prenatale, in un articolo pubblicato sulla rivista Evidence Based Medicine, la più importante organizzazione mondiale di valutazione e validazione della metodologia in medicina. In sostanza l'organizzazione dà indicazioni sulla reale efficacia e sul funzionamento di varie tecniche e procedure diagnostiche. A Giorlandino è stato chiesto di commentare uno studio retrospettivo, eseguito su 15 Centri che eseguono Diagnosi Prenatale negli Stati Uniti, realizzato dal Prof. Keith Eddleman della Mount Sinai School of Medicine di New York e pubblicato su Obstetrics and Gynecology. «Uno studio di venti anni fa – spiega Giorlandino – stabiliva una percentuale di aborto nelle donne che si sottopongono ad amniocentesi intorno all'1%. Oggi, con l'utilizzo di tecniche molto più raffinate, tale percentuale si è notevolmente abbassata. Nello studio di Eddleman si parla di una percentuale di aborto dopo amniocentesi pari allo 0,06%. Tuttavia leggendo approfonditamente lo studio ci siamo resi conto che in realtà la percentuale riportata non è altro che il rischio aggiunto di aborto per chi si sottopone all'amniocentesi rispetto a chi non la esegue. In altre parole sembrerebbe che l'amniocentesi aggiunga un rischio di aborto dello 0,06% rispetto a chi no la esegue». «Lo studio di Eddleman – precisa l'esperto - non è facilmente generalizzabile a causa della mancanza di informazion quali, per esempio, la descrizione dell'esperienza dei medici che hanno eseguito l'amniocentesi e la descrizione dei mezzi utilizzati durante la procedura. Tutti questi fattori sono stati probabilmente diversi in ciascun centro e quindi non è corretto supporre che i risultati di questo studio possano essere generalizzabili nella pratica clinica quotidiana. La percentuale dello 0,06% non deve essere quindi interpretata come il rischio assoluto di aborto nelle donne che si sottopongono ad amniocentesi, ma piuttosto come il rischio aggiuntivo attribuibile alla procedura».

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