giovedì 29 maggio 2008

Rivascolarizzare le angine stabili solo se sintomatiche nonostante terapia ottimale


Nell'angina stabile l'effettuazione di una rivascolarizzazione percutanea non riduce il rischio di morte, infarto miocardico o di altri eventi cardiovascolari rispetto alla terapia medica ottimale.
Nei pazienti con malattia coronarica (CAD) stabile non è chiaro se un'angioplastica (PCI) "preventiva" seguita da una terapia comportamentale e farmacologica ottimale sia superiore ad una strategia basata sulla sola terapia medica e comportamentale al fine di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari.Per rispondere a questo quesito è stato realizzato lo studio COURAGE su pazienti con angina stabile seguiti presso 50 Centri statunitensi e canadesi che hanno reclutato dal 1999 al 2004 2287 paziendi con CAD stabile che sono stati randomizzati a PCI (n=1149) più terapia medica e comportamentale ottimale o terapia medica-comportamentale senza PCI (n=1138).
L'end point primario prestabilito era un indice combinato che comprendeva la morte per tutte le cause e l'infarto (IMA) non fatale durante un follow-up compreso tra 2,5 e 7,5 anni (mediana 4,6 anni).

Si sono verificati 211 eventi primari nel gruppo PCI e 202 in quello della sola terapia medica. Il tasso cumulativo di eventi primari a 4,6 anni è stato del 19.0% nel gruppo PCI e 18,5% in quello della terapia medica (hazard ratio per il gruppo PCI, 1.05; 95% CI, da 0.87 a 1.27; P=0,62). Non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi negli indici compositi comprendenti morte, IMA, e ictus (20.0% vs. 19.5%; hazard ratio, 1.05; 95% CI, da 0.87 a 1.27; P=0.62); nel tasso di ospedalizzazione per sindrome coronarica acuta (12.4% vs. 11.8%; hazard ratio, 1.07; 95% CI, da 0.84 a 1.37; P=0.56); o infarto miocardico acuto (13.2% vs. 12.3%; hazard ratio, 1.13; 95% CI, da 0.89 a 1.43; P=0.33).


Tuttavia un numero significativamente superiore di pazienti nel gruppo terapia medica rispetto a quello PCI ha presentato ischemia sintomatica a 12 mesi dalla randomizzazione (42 vs 36% p<0,001)>

Fonte: NEJM 2007; 356:1503-1516.

Commento di Luca Puccetti

I dati dello studio Courage hanno destato grande scalpore e sono stati anche oggetto di critiche. I risultati sono stati ripresi con enfasi da un ben noto giornale rivolto al pubblico come il Wall Street Journal (1), anche per i risvolti finanziari legati all'ondata di vendite che si è abbuttat sui titoli di alcune aziende che producono STENT. LA PCI si è dimostrata superiore alla terapia medica nella sindrome coronarica acuta e dunque si poteva ipotizzare che una sua applicazione "preventiva" su pazienti con angina stabile possa ridurre gli eventi cardiovascolari. I risultati dello studio COURAGE non sostengono questa tesi. Occorre tuttavia notare che lo studio offre risultati che devono essere interpretrati con cautela in quanto un numero molto più elevato di pazienti randomizzati alla sola terapia medica è stato costretto a ricorrere a procedure di rivascolarizzazione durante lo studio. Questi interventi possono avere pertanto migliorato l'end point predefinito nel gruppo terapia medica. Il fatto che a 5 anni, diversamente da quanto osservato a 12 e 36 mesi, le percentuali di pazienti liberi da malattia non siano risultate significativamente diverse tra i due gruppi risente pesantemente del maggior numero di PCI effettuate negli anni preedenti nel gruppo terapia medica rispetto a quelle effettuati nel gruppo PCI preventiva. La lezione comunque appare chiara: curare il paziente e non la lesione. Un numero troppo elevato di PCI, per sincera convinzione dei medici o per interesssi economici legati alla maggior redittività delle procedure di rivascolarizzazione rispetto alle terapie mediche o per timori di accuse di malpractice, vengono ancora praticate su pazienti asintomatici.Lo studio COURAGE ci sostiente nel raccomandare nell'angina stabile una strategia basata PRIMA sull'applicazione a tutti i pazienti delle corrette misure atte a migliorare lo stile di vita ed a garantire una terapia medica ottimale. Solo se queste misure non riescono a controllare i sintomi anginosi in modo soddisfacente per il paziente allora può essere appropriato eseguire una rivascolarizzazione al fine di controllare meglio i sintomi, senza timori che una tale condotta più "conservativa" comporti un rischio di aumento della mortalità o del reinfarto. Inoltre una tale strategia comporta un risparmio in quanto consente di non effettuare PCI in pazienti che non ne hanno bisogno.


Referenze1) http://online.wsj.com/PA2VJBNA4R/article/SB117492543329349148-search.html?KEYWORDS=Boden&COLLECTION=wsjie/6month

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